Primarie flop. Il Pd sardo riparte da zero

La vicenda politica isolana, e non solo, è ben rappresentata da un fatterello occorso ieri a margine delle primarie del Partito democratico quando Settimo Nizzi, deputato berlusconiano, si è presentato al seggio di Olbia, ha versato l’obolo di due euro, e ha votato.

Chissà cosa credeva di dimostrare. E, soprattutto, chissà se aveva controllato bene il calendario prima di uscire di casa. Cioè se sapeva che siamo nel 2014 e che tutto è cambiato rispetto agli anni dell’inizio delle primarie quando esponenti del fronte avverso si recavano a votare con l’obiettivo di delegittimare se non ridicolizzare quello strumento di democrazia. O anche per sostenere il candidato “meno avverso” all’establishment. Nel 2007 lo stesso Soru, anche allora candidato, fu vittima di questo genere di voto.

I casi sono due. A parte l’ipotesi che Nizzi domenica mattina, quando ha spostato le lancette del’orologio in occasione del ritorno dell’ora solare, abbia per errore spostato indietro anche l’anno, c’è quella che in buona fede abbia ritenuto di poter contribuire alla scelta del segretario democratico in nome della collaborazione tra Renzi e Berlusconi sulle riforme istituzionali. Non è un paradosso: le cronache dicono che la surreale spiegazione è stata data seriamente da alcuni esponenti del Pd locale per giustificare la decisione di ammettere Nizzi al voto.

Qualunque sia la ragione della decisione di Nizzi, essa fotografa una realtà semplice e banale: le primarie hanno perso la loro forza e il loro senso. Dovevano essere la porta per dar entrare i cittadini nel Partito democratico, sono diventate il luogo dove le componenti interne fanno la conta dei loro consensi. Nulla di male, ovviamente. Ma per questo scopo ci sono tanti altri strumenti, meno onerosi, meno impegnativi, e meno ingannevoli: i congressi.

Alla fine, là si tornerà inevitabilmente. La modesta partecipazione al voto, unita all’esiguità della maggioranza ottenuta dal vincitore nell’assemblea regionale, riporta interamente la partita futura nelle mani degli equilibri tra le componenti interne. Come accadeva ufficialmente in passato, come in realtà è sempre accaduto. Solo che ora è finita l’illusione. Gli elettori non credono che le primarie possano realmente incidere sulle scelte. Diciamo che si sono stufati.

Che poi questa disaffezione e questo fastidio possano tradursi in una perdita di consensi non è automatico, come dimostra lo straordinario risultato del Pd alle Europee. Di certo si traducono in una idea del Partito democratico diversa da quella originaria, che poi è esattamente quella praticata da Matteo Renzi – un partito del leader che si rivolge direttamente all’intero elettorato – e che è stata almeno formalmente fatta propria da decine di esponenti del vecchio apparato in una delle più colossali operazioni di trasformismo della storia repubblicana. Può funzionare questo schema a livello locale? Pare improbabile. Perché questo schema (chiamiamolo ‘lo schema del leader’) ha molte analogie con quello praticato senza successo dal primo Soru. Non è un caso, infatti, che il nuovo segretario oggi indichi un percorso completamente diverso, fondato sulla partecipazione, la collaborazione e il dialogo con i cittadini. Il risultato delle Primarie dice che, se davvero è questa la prospettiva, dovrà partire da zero. Se non addirittura da “meno uno”.

G.M.B

 

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