Il Consiglio cucina la “legge Porchetto”

 

Insensibile a tutto. A una legge costituzionale che ha ridotto da 80 a 60 il numero dei consiglieri regionali e che ha reso inevitabile la riforma della legge elettorale. Alla pressione del movimento delle donne che si aspetta nuove norme che garantiscano (come del resto prevede la stessa legge costituzionale) un equilibrio nella rappresentanza tra genere maschile e genere femminile. Insensibile al momento politico, allo tsunami grillino, al crescente fastidio per comportamenti che possano anche solo suscitare il sospetto che le scelte dei politici siano condizionate dall’esigenza principale di salvare se stessi e le proprie poltrone.

Il consiglio regionale sardo ha superato ieri tutte le previsioni peggiori. L’approvazione della nuova legge elettorale è stata rinviata a data da destinarsi. Non si sa a quando. Non si sa, a questo punto, nemmeno “se”. Tanto che la presidente dell’assemblea, Claudia Lombardo, ha per la prima volta detto esplicitamente di non essere affatto certa che la nuova legge sarà approvata in questa legislatura.

Sarebbe un disastro. perché il “combinato disposto” tra la riduzione del numero dei consiglieri e il perdurare dall’attuale normativa elettorale potrebbe determinare, a secondo del risultato delle urne, una situazione paradossale: quella di un governatore che vince, ma non ha la maggioranza. cioè una situazione molto simile a quella che il Porcellum ha determinato a livello nazionale. Un Porcellum sardo, in pratica. La politica che si adegua alla tradizione gastronomica: un porchetto.

Le cause dello stallo sono perfette per dare argomenti alla cosiddetta ‘antipolitica’. Sono, infatti, tutte legate alla conservazione dei posti. Significativamente, la divisione non riguarda le coalizioni – centrodestra e centrosinistra – ma le attraversa entrambe. La divisione è tra ‘grandi’ e ‘piccoli’ all’interno delle coalizioni. Se n’era avvenuta una prima avvisaglia una settimana  fa quando i capigruppo dei ‘grandi’, cioè del Pdl e del Pdl, avevano presentato un emendamento che elevava la ‘soglia di sbarramento’, quella al di sotto della quale non si ha diritto ad alcun rappresentante.

I ‘piccoli’ ritengono troppo alto lo sbarramento del 4 per cento per i partiti che si presentano da soli e anche il 2,5 per cento previsto per i partiti che si presentano all’interno delle coalizioni. Si ritrovano così, una volta tanto, uniti Sinistra e libertà e Udc, Italia dei Valori e Partito sardo d’azione contro le “pretese egemoniche” del Pdl e del Pd. Che secondo i ‘piccoli’ si manifesterebbe anche nella scelta del modello matematico da adottare per calcolare la distribuzione de seggi. Il “metodo D’Hondt” è gradito ai ‘grandi’, mentre i ‘piccoli vorrebbero un ‘proporzionale ‘puro’. Si è quindi passati – scherzava ieri una delle donne presenti in aula – al “metodo don’t”. Cioè al non fare niente.

L’altra questione è più semplice, la ‘doppia preferenza di genere’ o qualunque metodo che garantica il ‘giusto equilibrio’ tra presenze maschili e femminili. Nell’attuale consiglio regionale le donne sono 8 su 80 consiglieri, il 10 per cento. Secondo i costituzionalisti per parlare di ‘giusto equlibrio’ bisognerebbe arrivare almeno a una rappresentanza del 40 per cento. Si capisce bene quanto è grande la distanza. Tra riduzione del numero complessivo dei consiglieri e ulteriore riduzione dei consiglieri maschi, oltre la metà degli attuali avrebbe a certezza matematica di non rientrare. E così si è fermato tutto.

E dire che c’era chi si illudeva che, in un sussulto di sensibilità sociale e politica, il Consiglio avrebbe approfittato della ricorrenza dell’8 marzo per votare la norma sulla ‘parità di genere’. Un gesto simbolico per ristabilire un legame con la sensibilità dell’opinione pubblica isolana stremata dalle acrobazie della cosiddetta Casta. Si trattava di fantasie da anime belle. L’8 marzo passerà e passeranno probabilmente settimane e mesi. Forse inutilmente, come ha paventato la Lombardo.

Perché ora incombono altre ‘urgenze. C’è quella della Finanziaria. E poi c’è quella, tutta interna alla maggioranza, dell’azzerramento voluto da Cappellacci della giunta regionale col relativo rimpasto per portare la legislatura a “scadenza naturale”. Un, obiettivo, questo, che pare riunificare il consiglio regionale attorno alla certezza della poltrona per altri dieci mesi.

N.B.

 

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