Altro che “ripresa”. Siamo al disastro

Gli ultimi dati Istat sullo stato economico della Sardegna descrivono un disastro in atto sono i peggiori degli ultimi cinque anni. Eccoli nel racconto/analisi di LILLI PRUNA

I dati sull’occupazione e la disoccupazione del II trimestre 2013 (aprile, maggio, giugno), appena pubblicati dall’Istat, sono terribili, perfino peggiori di quanto ci si potesse aspettare. Sono una sequenza di numeri sistematicamente più gravi – perché molto più bassi o molto più elevati – di tutti i trimestri precedenti, a partire dall’inizio del 2004. In alcuni casi, per trovare valori simili occorre andare molto indietro negli anni.

L’occupazione, per esempio, in Sardegna ha toccato un livello così basso – 552.000 persone occupate – che è necessario consultare le vecchie serie storiche per trovare una cifra che si avvicini a questa. Per avere un’idea della caduta occupazionale che si è registrata in questi cinque anni di crisi, basta pensare che nello stesso trimestre del 2008 gli occupati erano 633.000, ben 81.000 in più. La disoccupazione invece è aumentata fino a toccare cifre che non si vedevano da moltissimo tempo – 127.000 persone in cerca di lavoro – tanto meno nel II trimestre dell’anno, in cui tradizionalmente prende avvio la stagione turistica: a titolo di doloroso confronto si può ricordare che nello stesso trimestre del 2007 i disoccupati erano 58.000, quasi 70.000 in meno.

I dati del 2013 sono i peggiori degli ultimi cinque anni, segno che la crisi non ha incontrato argini e si è sviluppata come una valanga, travolgendo il sistema economico dell’isola e decine di migliaia di persone, famiglie, aziende, comunità. Non sembra che la valanga abbia esaurito la sua forza, al contrario si potrebbe pensare che sia in grado di produrre ulteriori danni. Purché si riesca a vederli: per fare un esempio, una riduzione delle ore di cassa integrazione (straordinaria o in deroga) può essere determinata non da un miglioramento delle condizioni delle imprese ma dal simultaneo calo dell’occupazione e aumento della disoccupazione, due fenomeni negativi che non possono produrre un effetto positivo. Il tasso di occupazione è sceso infatti al 48,3% contro una media nazionale – tra le più basse in Europa – del 55,7%. Il tasso di disoccupazione è salito invece al 18,6%, una soglia che pensavamo di poter dimenticare, visto che per ritrovarla occorre tornare ai primi anni ’90: vent’anni fa.

L’occupazione femminile, che durante la crisi era aumentata in modo consistente svolgendo un ruolo di parziale compensazione del crollo pesante dell’occupazione maschile, ora cede e si riduce fortemente: rispetto allo stesso trimestre di un anno fa, le donne che hanno un lavoro sono 23.000 in meno, e il tasso di occupazione femminile è tornato al 39,1%, dopo avere toccato il picco del 44,4% all’inizio dell’anno scorso. Così come in questi anni di crisi è stato proprio l’aumento delle donne occupate ad evitare che il tasso di occupazione della Sardegna subisse un crollo ancora peggiore, ora è la perdita ingente di lavoratrici a trascinare in basso il livello complessivo dell’occupazione. L’occupazione maschile, infatti, è in lieve ripresa ma è ridotta ai minimi storici, 329.000 occupati: soltanto un anno, fa nello stesso periodo, erano 360.000, cioè 31.000 in più. Nel “lontano” 2007 avevano sfiorato i 400.000.

Questi numeri non servono per creare panico, ma neppure consentono di far finta che vada tutto bene, né di credere che le cose stanno migliorando e che la fine della crisi è dietro l’angolo. Non è neanche possibile illudersi che tutto si aggiusterà da sé, con la ripresa dell’economia.

L’unica cosa che sicuramente sta per finire è la XIV legislatura, la peggiore della storia della Sardegna, che ha pienamente coinciso con una crisi economica e istituzionale senza precedenti, e che lascerà segni profondi. Questi numeri sono a disposizione delle forze politiche che intendono candidarsi al governo della Regione, perché prendano bene le misure dei danni che dovranno riparare.

Lilli Pruna

 

 

 

Lilli Pruna

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