“Ai confini tra Sardegna e Jazz”, a Sant’Anna Arresi nel segno di Max Roach

Andare a Sant’Anna Arresi per il festival “Ai confini tra Sardegna e Jazz”, manifestazione trentennale organizzata dall’Associazione Punta Giara, è un momento in cui la malinconia settembrina lascia spazio all’attesa febbrile di quel primo giorno del mese di “Cabudanni”, in sardo, così chiamato per via della ripresa delle attività agropastorali, la rinnovazione e la rinascita della terra.

Un settembre con qualche folata di vento fresco -sebbene il caldo non sia del tutto cessato- mentre nella piazza del Nuraghe il campanile dell’antica chiesa segnala –illuminato- il palco della manifestazione, quest’anno foriera di un tema sentito e importantissimo “We insist!” dal titolo dell’album del percussionista Max Roach a suo tempo forte protesta contro le discriminazioni razziali, oggi ancora tragicamente presenti.

A due passi dal paese, la spiaggia da cartolina di Porto Pino, ancora lido di approdo di rotte disperate dall’Algeria dove le alte dune nascondono e occultano i corpi e le grida di uomini in fuga, accolti dalla terra e troppo spesso rifiutati da inconsistenti opinioni fondate su timori irragionevoli e sobillati.

 

La XXXII edizione batte, letteralmente, sulla questione con una manifestazione a suon di percussioni, che prevede ospiti internazionali e musicisti impegnati anche sul fronte dei diritti civili. Sino al 10 settembre, un susseguirsi di levare e battere smuoveranno le coscienze di quanti ascolteranno la musica al ritmo di “Freedom Now!” in un omaggio al grande batterista e alla necessità di continuare la lotta.

 

Venerdì, sul palco, sono tornati due grandi affezionati del festival, Aly Keità e Hamid Drake (in concerto in duo, domenica 3), in trio con Boni Gnahorè in apertura per il concerto della sorella di Gnahorè, Dobet.

Con Drake alla batteria, Keità al Balafon e Boni Gnahorè alle congas, gli animi si smuovono e viaggiano intorno al mondo, dall’Africa Occidentale sino agli Stati Uniti in un crescendo di entusiasmi e danze trascinanti.

In seguito, la band di Dobet Gnahorè, la voce potente, come la sua personalità, della cantante ivoriana che incarna un altro aspetto ricercato per quest’edizione: le interpellanze femminili. In una società globale dove il razzismo è il baluardo fossilizzato delle politiche securitarie, alle donne non è ugualmente concesso alcun appello e ad ogni discriminazione segue, dovuta, la solidarietà tra outsider.

 

Canta in tre lingue la giovane ed energica Dobet, si esprime con semplicità e ironia, ma mantiene salda una posizione di combattente, con un’estensione vocale che parte da note più dolci raggiungendo picchi emozionanti e intensi.

Martina Serusi

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