Marco Scardella, ugola d’oro giramondo, racconta la sua vita a Taiwan tra canto, insegnamento e pubblicità

Inizia citando una frase del western di John Ford ”L’uomo che uccise Liberty Valance” del 1962 «Io vivo dove appendo il cappello» e, ad ascoltarlo, c’è da credere che sia proprio così perché di contee – sempre parafrasando il film – ne ha viste a bizzeffe. Trent’anni, nato e cresciuto a Cagliari, studi in Psicologia e in Canto Lirico alla scuola Civica di Musica e al conservatorio Verdi di Milano, Marco Scardella è per biografia, curiosità, esperienze di vita e cultura un ragazzo da Guinness dei Primati, uno che guarda ai limiti per superarli di slancio. E che vive lontano dall’Italia: per scelta e per necessità.

Il suo ultimo domicilio: Taiwan. Nel suo girovagare per il mondo è stato in settantadue Paesi – punta a entrare nel prestigioso – ”travelers century club” – e ha vissuto in nove: Inghilterra, Germania, Ungheria, Polonia, Romania, Giappone, Malaysia, Corea del Sud e Taiwan. Permanenze anche a Hong Kong, Indonesia, Repubblica Ceca, Turchia «ma in quelle circostanze ero consapevole di essere solamente di passaggio». Cantante lirico per vocazione e per passione, cita con gratitudine i suoi docenti Giovanna Canetti e Annamaria Pizzoli ma, soprattutto, Angelo Romero «papà putativo con cui da undici anni tengo ottimi rapporti didattici e affettivi».

La lirica è l’attività costante e prevalente, peraltro con ottimi risultati, all’interno di un bagaglio stupefacente per quantità e per varietà. «Quando ho dubbi sulla professione – scherza – guardo il mio documento d’identità, risalente a dieci anni fa, e lì c’è scritto ”Cantante Lirico”. Tra le cose di cui vado maggiormente orgoglioso in Italia c’è stato il Requiem di Mozart al Duomo di Milano sotto la direzione di Renzetti. All’estero mi sono esibito in Est Europa soprattutto in Romania, Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca; sono stato per cinque mesi al Coro della Filarmonica di Cracovia in Polonia. Ho fatto concerti anche in Inghilterra (Londra, Bristol, Brighton), Germania (Colonia, Berlino), Spagna. Tuttavia ho scoperto di essere flessibile e ben disposto verso altre professioni come l’insegnamento. In Asia, ho iniziato l’attività di docente di musica e di lingue in alcuni istituti privati. Nella mia ultima tappa fra Taiwan e il Giappone, cantavo, insegnavo ed ero impegnato con un’agenzia cinematografica e una di moda; ho recitato in uno spot e ho tuttora in ballo diversi progetti cinematografici per il mercato dell’Estremo Oriente, dove scarseggiano gli europei con esperienza scenica e teatrale. Viaggiando ho maturato esperienze pure nel settore delle risorse umane e dell’assistenza ai clienti».

Complice un’altra straordinaria capacità, stavolta nell’apprendimento delle lingue. «Padroneggio l’inglese e lo spagnolo, a seguire il giapponese e il polacco poi il russo, il rumeno, il tedesco e il francese. Me la cavo poi col cinese, l’ungherese, il coreano, il greco e lo slovacco. Col tempo ho anche affinato un mio metodo che mi ha consentito di imparare piuttosto velocemente almeno i rudimenti. Che poi, spulciando su internet, corrisponde bene o male a ciò che fanno tutti i poliglotti piuttosto noti: studio di parole chiave, pratica delle frasi imparate dalla prima lezione per abituare il cervello a certi suoni e sforzo costante di tradurre e poi pensare direttamente nell’idioma che si vuole acquisire».
All’Europa dell’Est deve gran parte della crescita umana e professionale che anche l’Asia ha saputo regalargli, con un ”di più” in termini di valori «ho toccato con mano l’estrema educazione, il senso civico, la solidarietà e la facilità di socializzare». Termini poco evocati e altrettanto scarsamente applicati alle nostre latitudini dove spesso sono sbiaditi e stropicciati. A questo proposito l’artista cagliaritano racconta un episodio che l’ha segnato positivamente: «A Jakarta mi hanno chiamato per una conferenza in una grande scuola privata di fronte a migliaia di persone tra bambini e insegnanti; dovevo parlare della mia vita, dei viaggi fatti, delle lingue e delle culture apprese, della musica e della realizzazione di quelli che erano i miei sogni. In quel frangente ho avuto la consapevolezza che quanto fatto non era stato inutile. Umanamente è stata la mia soddisfazione più grande».

Eppure tutti questi successi non cancellano una patina, leggera, di malinconia per la sua terra legata a circostanze, paesaggi, profumi e sapori che gli ricordano la Sardegna. «Con l’isola ho un rapporto conflittuale; non riuscirò mai a capacitarmi del fatto che abbiamo risorse preziosissime come la natura, la storia, il cibo e la musica, non sfruttate, e che anche per questo versiamo in una continua difficoltà. Non ho rimpianti, preferisco vivere nella consapevolezza di aver commesso degli errori che piangermi addosso per il rammarico di non aver osato abbastanza».

Nell’immediato, le energie sono concentrate sul prossimo ritorno in Estremo Oriente a Taiwan, dopo un breve soggiorno a Cagliari: «Riprenderò a insegnare e mi perfezionerò ancora nel canto per poi esibirmi nuovamente con l’opera di Taipei, benché si faccia una produzione ogni tre o quattro mesi. Intendo fare nuove audizioni come solista e corista a Hong Kong, a Singapore e in Giappone dove punto a stare in pianta stabile. Non trascurerò il lavoro con l’agenzia taiwanese – nella speranza di avere maggiori occasioni per fare pubblicità e cinema – infine intendo aprire un blog nel quale racconterò le esperienze vissute».

Giovanni Runchina

 

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