L’ingegnere cagliaritano che fa diventare intelligenti computer e robot

Fa diventare “intelligenti” i computer e i robot, in modo che capiscano ciò che vedono. Un lavoro che, visti i risultati e le prospettive, gli riesce molto bene: adesso è all’università di Kagoshima ma, tra qualche mese, si sposterà al centro ricerche Toshiba di Kawasaki, vicino a Tokyo. Marco Visentini Scarzanella, cagliaritano dal curriculum internazionale, è l’unico ricercatore tra tutte le discipline scientifiche, proveniente dall’Inghilterra, che per due anni si occuperà di sistemi di ricostruzione 3D e di navigazione medica per conto della multinazionale nipponica.

«Il mio campo di ricerca è la computer vision, disciplina che permette ai computer e ai robot di interpretare quello che stanno vedendo con le telecamere e di ricavarne informazioni geometriche, fisiche o semantiche come facciamo noi umani. I sistemi che fanno notizia, soprattutto recentemente, sono molto avanzati dal punto di vista meccanico, però sono ancora molto stupidi».

Trentadue anni, prima liceo classico al Siotto poi al collegio del mondo Unito dell’Adriatico a Duino sino alla maturità, laurea, master e dottorato in ingegneria informatica col massimo dei voti all’Imperial College di Londra (seconda università al mondo nel 2014 secondo QS World University Rankings), «le estati passate a lavorare alla Philips e all’ARM (società con sede a Cambridge che si occupa di microprocessori- ndr-) invece che al mare», collaborazioni con la Scuola Superiore di Sant’Anna a Pisa e col Politecnico di Milano, Marco è arrivato in Giappone dopo 12 anni d’Inghilterra. «Volevo cambiare aria e avere una qualità della vita migliore – confessa – sono qui da agosto dello scorso anno grazie a un finanziamento nazionale. Stavo pensando al mio piano di fuga dall’Inghilterra quando ho incontrato il docente che mi segue in quest’esperienza durante una conferenza in Florida».

Impossibile farsi sfuggire di mano l’occasione anche perché il programma governativo è molto ghiotto; i ricercatori portano avanti i loro studi in totale serenità e non devono occuparsi d’altro. «Si manda il curriculum, una proposta di progetto, indicando il professore giapponese con cui si vorrebbe svolgerlo; sono ammesse domande per tutte le discipline. La richiesta è valutata da accademici locali e sono ammessi i primi 120 classificati, normalmente le domande sono circa 1200. I punti di forza sono le condizioni di lavoro: per due anni ti concentri solo sul tuo progetto, senza obblighi di didattica, riunioni o supervisioni. Passando una successiva selezione, si ottiene un budget a parte per strumentazione, personale e viaggi per conferenze».

Lusso che è ricompensato con gli interessi; la qualità della ricerca è, infatti, molto alta. «Sto ricostruendo la geometria degli ambienti all’interno del corpo soltanto dalle immagini visualizzate, senza altri sensori che non si potrebbero usare date le scarse dimensioni della strumentazione. Questa tecnologia, perfezionata, consentirebbe di definire la grandezza esatta di un tumore solo guardandolo, di avere una sorta di TAC ottica dopo una biopsia, o di allineare e sovrapporre correttamente questo esame strumentale prima dell’endoscopia, in modo che il medico sappia esattamente dove andare, quasi avesse un GPS. A breve mi dedicherò ai sistemi di ricostruzione 3D e di navigazione medica nei bronchi. Solo insegnando la misurazione corretta alle macchine sarà possibile progredire nella navigazione automatica, nella diagnosi assistita e nella sicurezza per impedire errori».

Il prossimo impegno sarà alla Toshiba: «Ho fatto domanda senza sperarci troppo, ogni anno viene preso solo un ricercatore in Inghilterra tra tutte le discipline scientifiche, mi fa piacere che abbiano scelto un sardo. La quotidianità è molto semplice e tutto funziona, nonostante i problemi. Sapevo che qui avrei avuto la possibilità di vivere senza farmi mancare alcunché. Inoltre qui a sud fa caldo, sono sul mare, le terme costano cinque euro, la gente è super ospitale e il cibo è buonissimo».

Isolano che è approdato su un’altra isola ma dall’altra parte del mondo, Marco sarebbe felice di poter tornare in Italia, tuttavia le condizioni attuali del sistema non lo permettono; il confronto col Sol Levante è impietoso: «In Italia gli stipendi dei ricercatori sono molto più bassi rispetto alla media, non solo europea, e le forme contrattuali precarie. Molti colleghi se ne vanno da Londra, nonostante stipendi rispettabili, attirati dalle università svizzere dove pagano il doppio. Inoltre nel nostro Paese si fanno scelte incomprensibili; penso alla sede dell’Istituto Italiano di Tecnologia che è a Bolzaneto, in un posto lontano e poco collegato, e non a Genova. In Giappone s’investono tanti soldi sia nei programmi in generale, sia sulle persone. Rientrerei volentieri ma a due condizioni: che mi fosse permesso di fare il mio lavoro senza angosce di contratti a termine e di non dovermi preoccupare di arrivare alla fine del mese. Realisticamente spero di rimanere qui nel sud, non so se in ambito accademico o nell’industria, anche perché sarebbero pochi i posti dove continuare il mio percorso senza problemi linguistici: al di fuori dell’Europa ed escludendo l’America settentrionale per il clima rimarrebbero Giappone, Singapore, Australia e Hong Kong. Alla fine -se uno considera tutti i vincoli – il mondo è piccolo, il che aiuta molto nella scelta».

 Giovanni Runchina

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