Da Gavoi al Polo Sud: l’avventura dell’ingegnere Marco Buttu

Un’inverno che dura nove mesi con temperature fino a 80 gradi sotto zero in un buio perenne. Non ci sono rumori, aerei e auto, animali e insetti, non c’è il mare, la terra e il verde ma una infinita distesa di bianco. Tredici persone sole in un raggio di migliaia di chilometri, isolate e senza possibilità di essere raggiunte fisicamente. Tutto attorno, un silenzio irreale. Marco Buttu, ingegnere elettronico quarantenne di Gavoi, non dimenticherà facilmente l’esperienza che sta vivendo: nell’autunno di un anno fa ha raggiunto il Polo Sud e la stazione scientifica italo-francese Concordia gestita dal Pnra, il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide e dalla francese Ipev. E’ la zona più inospitale del pianeta: si trova nel sito di Dome C, sul plateau antartico a 3.233 metri di altitudine, l’aria è secchissima e l’ossigeno scarso; gli insediamenti umani più ‘vicini’ sono la stazione Mario Zucchelli e la stazione Dumont, a oltre 1000 chilometri.

Buttu, in forze all’Istituto Nazionale di Astrofisica e all’Osservatorio Astronomico di Cagliari dove è responsabile del software di controllo del Sardinia Radio Telescope, ha ha inviato quasi per caso la candidatura per il nuovo progetto del Pnra finanziato dal Ministero della Ricerca e realizzato da Cnr ed Enea; dopo una attenta selezione e diversi test fisici e psicologici è stato scelto per la missione numero 33. Il 18 novembre 2017 ha raggiunto la base e ha iniziato il lavoro a bordo della Concordia: si occupa di esperimenti, rilievi, analisi su diverse materie come astronomia, astrofisica, scienze dell’atmosfera, scienze della Terra, biologia e medicina, telerilevamento, simulazioni. L’obiettivo è raccogliere più informazioni possibili in vista di un grande, ambizioso progetto: esplorare la vita umana in condizioni estreme per una possibile futura missione sul pianeta Marte.

Il quotidiano a bordo della Concordia è, per chi non lo vive, al di là di ogni immaginazione. Nei tre mesi d’estate, tra novembre e gennaio, il sole non tramonta mai; da febbraio a novembre il sole non si vede per diversi mesi, per 120 giorni il buio è totale, e le temperature arrivano a 80° sotto zero, ma con il terribile windchill se ne percepiscono anche venti in meno. Da novembre a febbraio si contano nella stazione fino a 80 ospiti, oggi sono solo in 13. Marco Buttu è uno di loro, con lui ci sono altri sei italiani, cinque francesi e un austriaco.

Come trascorrete le giornate?
In questo periodo i ritmi sono inevitabilmente più lenti rispetto all’estate: mi alzo presto per scrivere un libro, poi a prescindere dalla temperatura esco per fare la manutenzione ai telescopi. Nella restante parte del tempo lavoro al computer per condurre le osservazioni astronomiche, pratico yoga e sto con gli altri. Visto che per più di tre mesi non vi sono albe ne tramonti, è facile rimanere disorientati e perdere la cognizione del tempo, per cui pranziamo e ceniamo tutti assieme ad orari fissi, alle 12.30 e alle 19.30.

A proposito di pranzi e cene, cosa si mangia al Polo Sud, con -80° di temperatura?
I pasti rappresentano il momento più importante della giornata. C’è sempre un primo, uno o due secondi e un contorno. Il cibo arriva qua a Concordia durante l’estate e lo conserviamo in buona parte all’interno di container situati di fronte alla base. Per metà del periodo invernale non mangiamo frutta e verdura fresca, perché ci arrivano ad inizio febbraio, con l’ultimo volo, e dobbiamo consumarle entro qualche mese.

Sappiamo che ha preparato ai colleghi una cena con menù sardo, ci racconta?
Lo chef che ha vissuto sulla Concordia durante il periodo estivo, Franco Lubelli, è di origini sarde. Il giorno del mio compleanno, l’11 dicembre, abbiamo appeso in cucina la bandiera dei quattro mori, messo in sottofondo un dillaru e preparato una cena sarda: malloreddus, due maialetti arrosto e vari dolci sardi. Abbiamo avuto il grande onore di far conoscere la Sardegna in questo angolo sperduto del pianeta.

Sta tenendo un diario seguitissimo su Facebook con foto e notizie della missione: in tanti scrivono, ringraziano, mandano saluti dalla Sardegna. Si aspettava tutta questa attenzione?
Non è qualcosa a cui avevo pensato, per cui non mi ero fatto alcuna idea prima di partire. É una bellissima sorpresa perché i messaggi d’affetto che ricevo su Facebook sono veramente tanti e ogni giorno c’è qualcuno che mi scrive per sincerarsi delle mie condizioni o per augurarmi buon lavoro. Il fatto che delle persone spendano una parte del loro tempo per te, anche fossero solamente 10 secondi, è impagabile. I messaggi che arrivano dalla Sardegna, come potete immaginare, mi emozionano in modo particolare: c’è il camionista che mi scrive per dirmi di essere passato a Gavoi, il pastore che mi invia una foto del suo gregge, chi mi manda una immagine del mare, chi del Supramonte, chi del Poetto e della Sella del Diavolo. Sono meravigliosi e non so proprio come sdebitarmi.

Prima di partire avrà certamente seguito un programma di preparazione fisico, ma dal punto di vista mentale e psicologico come ci si prepara a un’esperienza simile?
L’aspetto psicologico riveste un ruolo fondamentale per questo tipo di missioni e difatti per quasi tutto il periodo di addestramento siamo stati seguiti da una psicologa dell’Enea, prima in Italia e poi in Francia, che ci ha sia valutati sotto l’aspetto psico-attitudinale sia formati e preparati per la missione.

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Cosa le resterà più impresso dei mesi trascorsi in Antartide?
Non è semplice stilare un elenco perché questa esperienza è un susseguirsi di emozioni che mi accompagnano ormai da un anno, già da prima che partissi, per poi proseguire durante il viaggio e sin qua a Concordia. Senza ombra di dubbio vivere in questa anomala realtà priva di virus, di animali, di aerei che ti passano sopra la testa, di foglie che volano al vento e di colori, dove per mesi non vedi il sole e hai solamente il cielo stellato a farti compagnia, ti lascia dei ricordi indelebili.

Ci sono stati momenti di paura o sconforto?
É un’esperienza così meravigliosa, unica e mistica, che ogni giorno ho ringraziato per questo immenso regalo che vale una vita intera. Non si può avere paura di morire o essere sconfortati quando si ha la fortuna di vivere qualcosa di cosi eccezionale. In questo pianeta siamo circa 7 miliardi e ogni anno solamente qualche decina di persone ha la possibilità di vivere qua nel plateau antartico. Essere una di queste, uno dei pochi fortunati a poter stare al buio per diversi mesi per poi rivedere le cose con una luce diversa e apprezzare ciò che prima era normale, deve portarti a ringraziare ogni minuto della giornata.

Francesca Mulas

 

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