Fabio Pinna, analista finanziario per Deutsche Bank a Londra: «L’Italia? Deve essere più ambiziosa»

L’acronimo, CROCI, non è tra più promettenti – almeno per i comuni mortali – ma ha tutt’altro significato per chi bazzica nel mondo della finanza. La criptica sigla sta per Cash Return on Capital Invested ed è la piattaforma d’investimento per il mercato azionario globale, con sede nella City londinese, creata da Deutsche Bank.
Nel team di super esperti c’è anche un sardo, Fabio Pinna. «La metodologia CROCI – spiega – ha l’obiettivo di misurare il valore reale di una società quotata, vale a dire la somma dei flussi di cassa futuri che un’azienda può generare. Il sistema di valutazione è efficace e trasparente perché permette di confrontare imprese di Paesi e di settori diversi. Il servizio è accessibile a tutti: fondi pensione, ultra-miliardari, piccoli risparmiatori».

Nato a Ozieri, cresciuto a Olbia, laurea in Scienze Economiche e Sociali alla Bocconi, dottorato di ricerca alla London School of Economics, a 32 anni ancora da compiere il giovane economista ha già  inanellato molte esperienze prestigiose: stage alla divisione Statistica dell’Onu a Bangkok e poi, a Londra, docente di Economia durante il dottorato e collaboratore di un fondo d’investimenti svizzero, sino all’approdo nel cuore finanziario globale.

Da italiano addentro alle questioni del mercato borsistico, è inevitabile chiedergli un parere sulla crisi che ci flagella ininterrottamente dal 2008. «L’Italia sta attraversando una delle stagioni più difficili sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista sociale; molti patrimoni si sono deprezzati. A mio giudizio questo può essere un buon momento per chi ha capitali ingenti e guarda al nostro Paese; penso ai grossi fondi come BlackRock, Deutsche Asset and Wealth Management, oppure a investitori sofisticati. Stiamo parlando di soggetti con tanta liquidità che possono aspettare cinque anni o più prima di vedere dei ritorni. Alcuni fondi di private equity si specializzano sull’acquisto di aziende agro-alimentari che operano principalmente nel mercato italiano, con l’obiettivo di espanderle sul mercato internazionale».

Siamo fragili, abbiamo tanti problemi ma attiriamo l’interesse di molti stranieri; nessuno farà beneficenza ma i loro sono denari indispensabili per far ripartire il motore imballato dell’economia domestica. Benzina che arriverà con tanta più facilità quanta sarà la nostra capacità di risolvere alcuni problemi di sistema; impegno, quest’ultimo, che riguarda tutti: governo, imprese e cittadini. «Dal punto di vista politico, sarebbe preferibile avere un governo stabile che riesca a programmare delle riforme che, da un lato, abbiano un impatto positivo sull’occupazione e sulla competitività e, dall’altro, che siano sostenibili da un punto di vista finanziario. Per quanto concerne le imprese, credo che occorra puntare sulle piattaforme online per penetrare nei mercati esteri con maggiore incisività. I cittadini – in questo contesto – hanno un ruolo fondamentale; l’arma più importante in loro possesso è la punizione sociale dei comportamenti che danneggiano la collettività, la corruzione politica e lo spreco di risorse pubbliche e private su tutti».

E la Sardegna? È vaso ancor più di coccio nell’Italia della crisi. «La politica si deve dare un orizzonte di almeno dieci anni per programmare gli interventi socio-economici. Questo consentirebbe a tutti i portatori d’interessi verso l’isola di avere una visione più chiara sulle future potenzialità economiche, riducendo l’incertezza sul ritorno di quanto impegnato. Penso inoltre che dovremmo accogliere gli investitori esteri più apertamente e dovremmo anche sforzarci di promuovere la Sardegna e i nostri prodotti nel mercato globale».

Un bell’elenco di cose da fare che, se portato a compimento, darà i suoi frutti. Nel lungo periodo abbiamo tutte le possibilità per riprendere quota; il problema è proprio capire quanto lungo sia il lungo periodo. Un orizzonte dai contorni sempre più sfumati che si allontana man mano che le statistiche demoliscono le prospettive. Anche in questo caso l’ingrediente fondamentale è la fiducia. E Fabio, un po’ forse per patriottismo, dimostra di averne in quantità senza, per questo, rinunciare al realismo. «Sarà molto difficile che nei prossimi cinque, dieci anni, l’Italia raggiunga i livelli di prosperità precedenti al 2008. Dobbiamo usare questo tempo per essere competitivi nel nuovo panorama socio-economico globale, dove le tecnologie digitali e la conoscenza specializzata impongono dei ritmi mai visti prima. Ciò comporta una collaborazione a tutti i livelli. Non sarà facile ma è uno sforzo necessario per difendere la nostra economia e anche la nostra cultura imprenditoriale».

Giovanni Runchina

(Le opinioni espresse in questo articolo sono personali e non impegnano la responsabilità di Deutsche Bank)

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