Enrico Bachis, analista economico a Londra: “Farina e olio di pesce sono il nuovo oro”

I suoi resoconti settimanali corrono da un capo all’altro del mondo e sono la Bibbia per gli associati del settore, oltre 60 sparsi in tutti i Continenti, ma la sua è anche una tra le voci più ascoltate all’interno della FAO; non a caso l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione e di agricoltura a livello globale l’ha arruolato tra i consulenti. Enrico Bachis, 39 anni di San Sperate è analista economico a Londra per l’IFFO (International Fishmeal and Fish Organisation); l’acronimo, oscuro ai più, è l’ombrello sotto il quale si raggruppano i giganti della farina e dell’olio di pesce. Settore il cui giro d’affari complessivo supera il miliardo di dollari, margini di crescita a due cifre e tante compagnie quotate in Borsa. Fortuna dovuta, per l’appunto, a due materie molto ricercate, centrali nello sviluppo dell’acquacoltura e della farmaceutica.

«La farina e l’olio di pesce hanno ormai perso la caratteristica di commodity per diventare ingredienti high-tech. Io produco analisi di mercato sulla base dei dati che raccolgo settimanalmente in ogni angolo del mondo grazie ai nostri associati. La mia organizzazione è l’unica in grado di mettere insieme questo tipo d’informazione perciò i nostri report sono attesi freneticamente perché è su queste basi che si assumono certe decisioni, soprattutto di vendita e acquisto. La farina e l’olio di pesce sono fondamentali per la preparazione dei mangimi in acquacoltura, ma anche nelle diete dei pulcini e dei maialini. L’olio di pesce poi è la fonte naturale principale di acidi grassi omega-3, alla base dei supplementi e di molti medicinali per la cura di patologie cardiovascolari. Nonostante la produzione mondiale sia crollata per via de El Niño e i prezzi abbiano toccato livelli record, prosegue la corsa ad accaparrarsi il poco prodotto rimasto in giro per quest’anno».

L’oro, del resto, si trova in pochi Paesi: «Il 25% della produzione mondiale di farina e olio di pesce proviene dal Perù, seguito da Cile, USA, Scandinavia e Marocco. Avere una conoscenza immediata di quel che succede in queste realtà, e in particolare in Perù, è imprescindibile per i nostri associati. Che vi sia domanda è un fatto scontato, visto che in futuro si mangerà sempre più pesce d’allevamento. L’eccessiva attività ha ridotto lo stock mondiale disponibile e ha spinto i governi a politiche di tutela delle specie selvatiche. La soluzione per garantire una dieta sana ai 9 miliardi di persone che abiteranno il nostro pianeta nel giro di qualche decennio non potrà che venire dall’acquacoltura. Nel 2014 nel mondo, stando alle stime FAO, si consumeranno 10.3kg/pro capite di pesce d’allevamento contro i 9.7kg/pro capite di selvatico. Non a caso si parla ormai di “blue revolution” con riferimento al notevole sviluppo dell’acquacoltura».

Da cinque anni a Londra, Enrico – laurea in Scienze Politiche a Cagliari, master in Economia Finanziaria e dottorato in Economia industriale all’università di Nottingham – descrive scenari globali cruciali che riguardano alimentazione e salute. «La FAO, con la quale collaboro attivamente nella veste di consulente per la redazione delle stime a 10 anni sulla produzione alimentare mondiale (guarda), sostiene che l’acquacoltura dia lavoro a circa 25 milioni di persone nel mondo, con un fatturato annuo che si aggira attorno ai 150 miliardi di dollari. Il consumo pro-capite di animali allevati nel mondo crescerà del 25% nei prossimi dieci anni».

L’Italia, purtroppo, è un nano, una sorta di pesce rosso nell’oceano popolato da balene. «La produzione è in costante riduzione. Nel giro di quindici anni siamo passati da 200 mila a 150 mila tonnellate annue, di cui meno di 10 mila prodotte in Sardegna. Nello stesso lasso temporale la Turchia ha raddoppiato la quantità da 80 a 160 mila tonnellate. Per fare un paragone con i nostri vicini, la Francia ha una produzione di circa 250 mila tonnellate, la Spagna di circa 300 mila. La Grecia, molto più piccola e povera di noi, viaggia sulle 150 mila tonnellate».

Scommettere sul settore avrebbe grandi vantaggi pure per la nostra isola: «In Sardegna – argomenta Enrico – abbiamo uno straordinario prodotto quale la bottarga, ma la mancanza di materia prima costringe i nostri imprenditori a importare il 98% delle uova di cefalo dall’estero. Mi pare chiaro che ci siano enormi potenzialità di crescita del settore anche da noi». A frenarci due ostacoli che si trovano frequentemente sulla strada di chi fa impresa: «Credo che – ancora una volta – i limiti stiano nella capacità di accedere al credito da parte dei potenziali imprenditori e soprattutto nella farraginosità della macchina burocratica. Comunque non ci si può improvvisare, il settore si va sempre più concentrando nelle mani di multinazionali che hanno interi reparti destinati alla ricerca e allo sviluppo di nuove metodologie per rendere l’itticoltura sempre più sicura ed efficiente. La vendita del prodotto, poi, avviene in un ambiente sempre più globale».

Premesso questo, non mancano i buoni esempi cui attingere perché l’acquacoltura può anche aiutare a invertire la rotta del degrado ambientale: «Quello maggiormente interessante – racconta l’analista di San Sperate – è quello delle paludi del parco della Doñana in Andalusia. Una zona molto danneggiata dall’uomo che, dopo l’introduzione dell’acquacoltura, ha visto invertito il proprio declino ambientale».

Nel mare magnum degli impegni quotidiani Enrico Bachis trova il tempo e le energie per dedicarsi alla Sardegna. «Ho costituito un gruppo che si affida alla pagina Facebook “Giudicato Sardo di Londra” con l’intento di diffondere la coscienza nazionale sarda tra gli emigrati a Londra; assieme ad altri giovani ne ho fatto un punto di riferimento per le migliaia di conterranei che vivono e lavorano nella capitale inglese. Oltre all’aspetto politico, mi sono premurato di creare momenti di socializzazione in pub e ristoranti sardi e di divulgare la nostra cultura con concerti di tenores. Ho pure incoraggiato il dibattito politico con un incontro all’University College of London nel quale Michela Murgia ha svolto un intervento in limba. Recentemente – conclude Enrico – ho anche fatto da consulente ai vertici della società Cagliari Calcio che cercavano un ristorante sardo a Londra per aprire “Casa Casteddu”, locale dove andare a guardare le partite dei rossoblu e gustare le nostre specialità».

Giovanni Runchina

 

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