Alessandro Carboni, artista asseminese giramondo: «Ecco come corpo e arte aiutano a capire le città»

È di un asseminese il metodo di mappatura destinato a cambiare i canoni con i quali si percepiscono e si definiscono gli spazi nelle città. Alessandro Carboni «artista interdisciplinare», giramondo per formazione e per scelta, usa in questa sfida lo strumento più comune, più complesso, più sofisticato e allo stesso tempo trascurato: il corpo. «Al centro del mio lavoro vi è sempre il corpo e le sue relazioni con lo spazio, la mia pratica passa attraverso di esso ma si contamina con le arti visive tramite l’uso di media quali video e field recording (fonografia –ndr- ), le azioni performative, le tecniche di mapping urbano e di cartografia partecipata. Nel corso degli anni sono passato dalla rappresentazione in forma bidimensionale, offerta dalla pittura, alla forma tridimensionale tramite la performance».

Il progetto, battezzato Em:toolkit, è in corso di sperimentazione ad Aarhus, Danimarca, dove l’artista trentottenne è visiting researcher nel dipartimento di Aesthetic of communication dell’università ed è stato invitato alla Biennale di Architettura. «La ricerca – precisa – rientra nel progetto di dottorato che sto svolgendo alla School of Creative Media, City University di Hong Kong». Hong Kong e New York le prossime tappe con la speranza di portare l’idea anche in Italia dove ha avviato contatti per una serie di lavori a Roma, Venezia e Bologna.

L’approccio pensato da Alessandro Carboni, serve a comprendere le dinamiche di trasformazione dello spazio urbano e tenta di umanizzare quel rapporto tra ambiente e persone ora spersonalizzato. «Se guardiamo lo spazio urbano su scala globale notiamo che c’è sempre più la perdita della dimensione umana. Le grandi infrastrutture, i mezzi di trasporto, le possibilità di spostarsi velocemente, di viaggiare e di essere abitanti di più punti del mondo, da un lato ci pongono in relazione con più persone e luoghi ma, dall’altro, hanno accantonato la centralità dell’individuo; la contemporaneità è costituita da una moltitudine di corpi in cui il singolo perde la sua specificità».

Studi superiori al liceo artistico a Cagliari, laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze e Master in Performance alla Central Saint Martin’sUniversity of Art di Londra, Alessandro ha inanellato negli anni una serie impressionante di esperienze in giro per il mondo. «Dopo il master sono stato in Polonia per due anni durante i quali ho collaborato con l’università di Wroclaw e presentato progetti e spettacoli in gran parte del Paese e dell’Est Europa. Nel 2006, sono stato accettato in qualità di visiting researcher dalla School of Drama di Trichur, nello stato indiano del Kerala. Ho insegnato, studiato danza Katakali, matematica vedica e lavorato con diversi danzatori locali con i quali ho realizzato lo spettacolo ABQ, ispirato a Quad di Samuel Beckett e alle danze tradizionali del Sud dell’India. Nel 2007 è partita la mia avventura nel sud est asiatico con base a Hong Kong. Poi ho sviluppato diversi progetti per musei e gallerie in Europa, Stati Uniti, India e Cina. In occasione della XIII Biennale d’ Architettura di Venezia, nel 2012 ho partecipato alla cerimonia di apertura del Padiglione di Hong Kong con la performance Learning Curves/Kaitak River».

Il metodo cui lavora, sviluppato e usato da molti studenti, è aperto ai contributi dei vari esperti e permette di cogliere il meglio della complessità del tessuto urbano, generatore continuo di situazioni inaspettate, di emozioni differenti e d’interazioni costanti e complesse. «Em:toolkit, è un tool di mappatura urbana nato dalle mie ricerche riguardanti il rapporto tra spazio, città e corpo attraverso arti visive e performance. Il processo è composto di una serie di passaggi che comprendono l’osservazione, l’analisi, l’estrazione e l’esecuzione del materiale raccolto, attraverso il corpo. Le fasi sono cicliche e sono costantemente attivate ogni volta che accade un evento. Al termine di ogni ciclo, s’incamerano i dati estrapolati dal corpo-azione che funziona proprio come una mappa. In sostanza il toolkit è come un gioco nel quale, se si seguono determinati passaggi, è possibile creare la carta di un luogo attraverso l’utilizzo del corpo».

Modello innovativo che parte da una critica alla nozione tradizionale di mappa come strumento rappresentativo dello spazio legato quasi esclusivamente a ciò che vediamo, trascurando la dimensione fisica nella sua interezza e complessità; un paradosso, considerato che il corpo è in relazione costante con l’ambiente. «Il mio toolkit mette il corpo al centro del processo di mappatura utilizzando non solo i sensi ma rendendo il corpo stesso, uno strumento di racconto dello spazio, come se fosse un oggetto, un artefatto. Lo sforzo è nella ricerca di sistematizzare il processo di relazione, scoperta, interazione e rappresentazione tra il corpo e lo spazio urbano. Proprio per questo il toolkit propone un approccio alla città che passi per una consapevolezza nuova dei luoghi e degli eventi nascosti. M’interessa rivelare i microspostamenti, gli accadimenti minimi che si collocano in una zona periferica della nostra percezione, sfuggendo alla coscienza e alla conoscenza. Ciò che diventa invisibile ai nostri occhi – conclude Alessandro – determina l’andamento progressivo delle cose e l’alterazione lenta dei luoghi e dei territori».

Giovanni Runchina

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