Violenza sugli animali, una barbarie con pochi colpevoli

Un cane trascinato per centinaia di metri da un’auto in corsa. Due criceti chiusi dentro una pentolaccia e presi a bastonate. Tre cani legati a una catena senza acqua né cibo. Cavalli chiusi in un recinto e denutriti. Un cagnolino ripetutamente sbattuto al muro fino alla morte, un altro legato e sepolto vivo sotto un cumulo di pietre, un gatto usato come bersaglio e colpito dalle frecce di una balestra. Sono alcuni degli orrori registrati negli ultimi anni in Sardegna: uomini verso animali, soprattutto molto piccoli, legati, maltrattati, torturati, uccisi.

L’ultimo caso, appena due giorni fa, è quello di un gabbiano dilaniato in volo da un petardo. Violenze senza senso, in alcuni casi dettate da ignoranza, in altri da semplice e pura cattiveria verso una creatura debole che non è in grado di difendersi. Già, la cattiveria: come altro può considerarsi il pensiero di legare una bestia e trascinarla finché le carni non ne sono dilaniate? O di portarsi appresso dei petardi, salpare su una barca e restare in attesa di un gabbiano da catturare per vederlo esplodere in volo? Non c’è giustificazione per chi compie un’azione simile così come non c’è dubbio che chi agisce con tanta freddezza nel male non possa farlo anche verso i suoi simili.

E la giustizia? La legge italiana già prevede il giudizio per chi maltratta gli animali: l’articolo 544-ter del Codice Penale punisce “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”. La pena per chi è ritenuto colpevole davanti a un giudice non è lieve: reclusione da tre a diciotto mesi o multa da 5 a 30 mila euro.
Eppure a tante vittime animali della crudeltà umana non corrispondono altrettante condanne. Il primo caso in Italia di arresto per maltrattamenti è stato proprio in Sardegna, nel 2006: un cagliaritano che a causa di un litigio con un vicino di casa ne aveva ucciso la cagnetta sbattendola al muro è stato sottoposto a ordinanza di custodia cautelare per “accertata pericolosità sociale”.

La prima condanna definitiva nel’Isola arriva nel 2007, quando un allevatore di Arzachena viene punito con un mese di carcere (poi condonato) per aver lasciato denutriti i suoi cavalli. Tre anni fa il proprietario di un canile improvvisato a Oristano è stato condannato a pagare una multa di  2 mila euro per aver tenuto in condizioni precarie ventisei cuccioli. Il 1 febbraio prossimo inizierà invece il processo contro l’allevatore di Irgoli che ha legato all’auto il suo cane, poi ribattezzato ‘Amore’ da chi ne ha raccolto la storia, e l’ha trascinato fino a ucciderlo.
E tutti gli altri? Certo, la normativa che ha inasprito le condanne, e previsto anche il carcere, è recente e i processi in Italia,  si sa, hanno tempi lunghi. Eppure sembra che le punizioni per chi compie atti di crudeltà verso le bestie siano casi rari, troppo rari perché possano realmente mettere un freno alla violenza. L’applicazione delle pene non viaggia di pari passo con una sensibilità sempre più diffusa verso gli animali e il loro benessere, tanto che molti spesso invocano una giustizia fai-da-te verso responsabili di maltrattamenti che forse non verranno mai realmente puniti.

Non servono oggi condanne esemplari o un colpevole che paghi per tutti, basterebbe che la legge già in vigore venisse applicata davvero. Per Lilly, Amore, Micio, Travanera e per tutte le altre vittime della malvagità umana.

Francesca Mulas

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