Servitù militari, una strana “rivolta”

Vale la pena di leggere l’articolo dove Piero Loi ricostruisce i “fatti di Pratobello”, la rivolta popolare di Orgosolo contro la decisione di realizzare nel suo territorio comunale un centro di addestramento permanente. Una vicenda del 1969, 45 anni fa, che subito entrò nell’epica sardista e identitaria, ma anche in quella pacifista e rivoluzionaria degli anni Settanta.

Ne vale la pena perché il ricordare quanto accadde allora offre parecchi spunti interessanti per ragionare su quanto sta accadendo in questi giorni: una “rivolta” contro le servitù militari depotenziata dal suo falso unanimismo e dall’improvvisa convergenza verso lo stesso obiettivo di forze politiche e anche di soggetti totalmente diversi e distanti tra loro. Soggetti che, appena fuori dalla sede del neonato circolo “antimilitaristi per caso”, sono soliti accapigliarsi anche per futili motivi politici.

La gente di Orgosolo si oppose a quell’insediamento militare perché lo avvertì come un esproprio del proprio territorio, delle modalità del suo utilizzo e anche perché apparve non come la costruzione di un centro di addestramento ma di una sorta di maxicaserma dello Stato nel cuore della “zona criminale”. Una scelta, insomma, che pareva un proseguimento con altri mezzi delle teorie di Cesare Lombroso.

La “rivolta” in corso contro le servitù militari è stata scatenata dall’ennesimo “incidente”. Uno degli innumerevoli “incidenti” che da sempre accadono durante le esercitazioni. Solo che questa volta le modalità sono state tali da fare di quell’incidente – tutto sommato “banale” (non è finto lo stupore delle autorità militari per questa “reazione popolare”) – una perfetta metafora dello “Stato patrigno”. Le servitù militari sono diventate “incendiarie”, si sono messe sullo stesso piano dei criminali che appiccano gli incendi dolosi.

Un incendio insomma. Uno dei tanti gravi incendi boschivi che, “sposandosi” con uno dei tanti incidenti che avvengono durante le esercitazioni, è diventato un rogo politico immenso e pauroso. Un inferno che ha raggiunto, travolgendoli, paradiso e purgatorio. Infatti tra le fiamme si agitano dannati e santi. Un intero mondo politico, un’intera fetta di opinione pubblica che hanno convissuto serenamente con le servitù militari – ricavando onorificenze, protezioni e stipendi – e la minoranza che le ha sempre combattute.

Attenzione. Quando si parla di “minoranza” non ci si riferisce solo agli indipendentisti, ai sardisti radicali e ai pacifisti. Cioè a quanti si oppongono per ragioni di principio alle servitù militari: o perché non riconoscono la sovranità dello Stato sull’Isola, o perché ritengono che le armi debbano essere comunque bandite. No, nella minoranza includiamo anche quanti – a partire da posizioni laiche e moderate – hanno avuto verso questo problema cruciale per l’Isola un’attenzione costante e l’hanno praticata con continuità e coerenza nei luoghi della politica e nelle istituzioni. Proseguendo la battaglia avviata negli anni Ottanta dal leader sardista e presidente della Regione Mario Melis. Il quale non era per l’eliminazione istantanea di tutte le servitù militari, ma per una loro diversa regolamentazione, una più equa distribuzione nel territorio nazionale, accompagnate da effettivi poteri di controllo per le istituzioni locali. Mario Melis – uno dei pochi statisti che la Sardegna abbia avuto – “trattava” con i generali.

Che, d’altra parte, è l’unica cosa possibile in attesa – per chi ci crede – della nascita dello Stato sardo indipendente. E che è anche quanto dovrebbe fare – e avrebbe dovuto fare – la politica in modo costante. Che avrebbero cioè dovuto fare le stesse forze politiche, gli stessi personaggi politici e anche gli stessi organi d’informazione che oggi gridano “a fora, a fora”.

Opporsi alle servitù militari è saper essere capaci di entrare nel merito di un tema molto complesso. A partire non solo da un’idea della “sovranità” o dei poteri autonomistici, ma anche da un’idea sull’utilizzo del territorio. Ed è innegabile che le servitù militari in Sardegna abbiamo avuto due effetti opposti: dalla salvaguardia (basti pensare all’area della Sella del Diavolo e Calamosca a Cagliari) alle devastazione, forse irreversibile, di ampie porzioni di territorio (Quirra).

Ecco, Quirra. C’è una proporzione – per gravità, durata ed estensione del danno – tra l’incendio di Capo Frasca e quanto per decenni è accaduto in Ogliastra sotto gli occhi di generazioni di politici e di cittadini che non hanno fatto nulla, non diciamo per opporsi, ma semplicemente per esercitare un ordinario controllo su quanto stava accadendo? No, non c’è alcuna proporzione. La vicenda di Quirra è infinitamente più grave, ma non ricordiamo nulla di nemmeno lontanamente paragonabile, sul piano politico e mediatico, a quanto sta accadendo in questi giorni.

E francamente troviamo molto bizzarro che tra gli odierni difensori del territorio sardo dalle servitù militari, vi siano alcuni dei più convinti sostenitori della devastazione dello stesso territorio attraverso lo stravolgimento del Piano paesistico. Così come avevamo trovato francamente singolare l’indignazione per le indennità degli ex consiglieri di una folla di personaggi che ne beneficiavano o si accingevano a farlo.

G.M.B.

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share