Sardaleasing se ne va. E così perdiamo un’altra occasione di sviluppo

di ANTONIO SASSU

Fra qualche giorno, il 24 di questo mese, ci sarà l’assemblea straordinaria della Sardaleasing che, oltre ad incorporare l’ABF leasing, trasferirà la maggioranza delle azioni della società alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna ( BPER) e deciderà il luogo della sede operativa che, come si sa, sarà Milano.

Il gioco a quel punto sarà fatto. La Sardaleasing non sarà più una impresa della nostra regione e la sua strategia sarà decisa da Modena. Non è tanto la dislocazione al Nord che ha importanza, anzi questa può essere la premessa per una espansione in un mercato più ampio, come avviene per le imprese più dinamiche, quanto la proprietà della società. Non ne faccio una questione “regionalistica”, sia ben chiaro, piuttosto mi preoccupa maggiormente l’ opportunità di sviluppo.

La nostra regione una volta di più non elabora alcuna strategia e rappresenta ulteriormente un semplice luogo di esecuzione e di mercato. Un organismo che non decide, che non ha alcuna possibilità di scelta e di correre il rischio, non ha l’opportunità di crescere, può solo regredire.

Alla banca capogruppo non era sufficiente la supervisione totale della società, seppure tramite il Banco di Sardegna, voleva un controllo diretto degli amministratori a cui trasmettere le decisioni da prendere, con una conseguente spoliazione del territorio sardo. La banca emiliana ha fatto e fa continuamente la politica del carciofo sfogliandolo progressivamente. Dopo aver preso il 51% del Banco di Sardegna, ha eliminato (ricavandone la plusvalenza) tutte le società partecipate del Banco e tutti i settori in cui il Banco poteva avere maggiore competenza della capogruppo.

Un’impresa regionale grande come il Banco di Sardegna non può decidere alcunché e non può espandersi soprattutto al di fuori dei nostri confini come dimostra la vicenda degli sportelli bancari sul continente. Oggi la BPER prende la Sardaleasing, domani “razionalizzerà” ulteriormente il Banco di Sardegna e chissà….cosa potrà succedere. Diminuiscono certamente le occasioni di sviluppo.

Adesso, sempre di più, credo che ci fosse fin dall’inizio una politica di questo tipo. Tutto lo dimostra. Forse questa è stata anticipata per via della grande crisi finanziaria in cui è incorsa la BPER, ma le conseguenze di una politica che oggi si rivela miope e poco lungimirante erano già state programmate. Si potrà dire che queste sono le regole del mercato di fronte alle quali le istituzioni regionali non possono fare niente. La mia risposta è che ciò non è vero. In altri termini, non è vero che questa è la condotta normale delle imprese in un regime di mercato; non è vero che le istituzioni regionali non hanno alcun potere.

Vediamo il primo aspetto. E’ vero che l’obiettivo di un’impresa è il profitto ma questo non può essere a discapito del territorio in cui i profitti si fanno. Bisogna fare in modo che chi procura i guadagni non muoia strada facendo. E’ un discorso di buon senso. A meno che il comportamento non sia volutamente predatorio, ma non erano queste le promesse, devo avere l’accortezza di far vivere bene chi mi avvantaggia in modo che costui non venga meno nel futuro. C’è anche un ragionamento non strettamente di mercato che, a mio parere, è necessario tenere presente. Una banca popolare, che dice di essere federalista, che sbandiera programmi per il sostegno alle piccole imprese e ai territori in cui s’insedia, non può non esprimere un senso di solidarietà sociale. Ritengo sia un dovere civico sempre, a maggior ragione se l’impresa si presenta come investitore illuminato e scala i primi posti della graduatoria nazionale del settore grazie alla dote che riceve quasi a titolo gratuito.

Con riferimento al secondo aspetto è vero che le istituzioni regionali non hanno alcuna competenza. Non si tratta però di mancanza di poteri di autonomia, è semplicemente il gioco del mercato in un regime capitalistico. Perciò esse possono esercitare una moral suasion per indirizzare la banca capogruppo, forti del patrimonio storico del Banco, soprattutto del risparmio, che si è accumulato nel tempo. Se hanno a cuore il destino della regione che vogliono far crescere devono farsi sentire. Esistono comunque strumenti normativi e amministrativi a cui si può ricorrere, che possono essere efficaci, e la stessa Fondazione Banco di Sardegna, con la sua consistente quota di minoranza, potrebbe farsi valere in qualche modo.

Antonio Sassu

(docente di Politica economica europea all’università di Cagliari)

 

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