Romano Prodi presidente. Di un Paese normale

Tra le tante cose della politica che lasciano stucco, il silenzio dei massimi leader del Pd sugli attacchi di Berlusconi a Romano Prodi forse non è la più sorprendente, ma certo la più amara. Suona come la certificazione della morte (o, che è quasi lo stesso, della mancata nascita) del Partito democratico. A questo silenzio fa da corollario il ribadire, anche dopo l’aggressione berlusconiana, l’auspicio che il capo dello Stato venga eletto entro le prime tre votazioni.

Entro le prime tre votazioni? Non è necessario essere raffinati politologi per capire che a questo punto la convergenza dei voti del Partito democratico su un nome gradito anche al Pdl (condizione indispensabile per arrivare al’elezione del presidente in una delle prime tre votazioni) sarebbe la sconfessione da parte del Pd del suo fondatore. Sarebbe l’accettazione supina del diktat di Berlusconi contro l’unico leader che l’ha sconfitto due volte, Romano Prodi, appunto.

Ma non solo. Sono infatti in corso indagini delle magistratura sulla cosiddetta ‘compravendita’ dei senatori. Indagini dalle quali è già emerso che le difficoltà che agevolarono (assieme al micidiale mix dei Mastella e dei Turigliatto, ricordate?) la morte prematura del governo Prodi furono determinate dall’acquisto da parte di Berlusconi di alcuni senatori che erano stati eletti col centrosinistra. Uno di questi, Sergio De Gregorio, ha addirittura confessato.

Che, in presenza di fatti del genere, Silvio Berlusconi sia arrivato addirittura e porre un veto su Romano Prodi non è solo una conferma dell’arroganza e della spudoratezza dell’uomo, ma è anche, purtroppo, un chiaro segnale di come è avvertito il Partito democratico: un’entità così evanescente che può essere chiamata a una ‘trattativa’ nella quale la testa del suo fondatore è una delle poste in gioco. Senza evidentemente il timore che tanta protervia possa produrre l’effetto contrario.

Perché questo accadrebbe in un partito normale. L’autore del veto verrebbe rimesso a posto da tutto il gruppo dirigente e Romano Prodi (che ha uno dei curricula più forti e adeguati) sarebbe a maggior ragione il candidato al Quirinale. In un partito normale. E in un Paese normale.

Ma siccome l’Italia storicamente è spesso riuscita a dare il meglio di sé dopo aver toccato il fondo, chissà che dalla quarta votazione non si profili una piacevole sorpresa. E il re degli arroganti venga messo finalmente a tacere.

G.M.B

 

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