Paolo Fadda alla Cgil: “L’emergenza lavoro c’è eccome. Ma nel vostro Piano manca una politica industriale”

Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato l’articolata risposta del segretario generale della Cgil sarda, Michele Carrus, a un intervento dell’economista e saggista Paolo Fadda che criticava l’impostazione del Piano straordinario per il lavoro, noto anche come “il Piano da 100 milioni di euro”.  proposto dalla Cgil e sostanzialmente recepito dal governo regionale.  Con questo intervento, Paolo Fadda precisa un aspetto delle sue critiche. Lo pubblichiamo ribadendo che le pagine di Sardinia Post sono aperte a chiunque, con lo stile costruttivo e pacato che ha caratterizzato questo confronto voglia intervenire.

Sono davvero molto grato al Segretario generale della CGIL sarda per aver rotto, con la sua risposta a un mio intervento, il troppo lungo silenzio che si rileva attorno alle sorti di un’economia produttiva, come quella sarda, ridotta al lumicino, e, quindi, di avere avviato giustamente un atteso confronto sui possibili rimedi utili per invertire la marcia all’indietro imboccata ormai da una ventina d’anni dalla nostra Sardegna. M’era parso, come ho precisato nel mio scritto, che quel piano “straordinario” per il lavoro da 100 milioni di euro, con i suoi contenuti di “bonus assunzionali” e “cantieri di lavoro”, fosse la metafora di una Regione ridotta a dover accettare, nella sua azione di governo, quel che le venga richiesto dalle più o meno chiassose proteste esterne (ieri dalla Coldiretti, oggi dalla CGIL), anziché avere la capacità d’ affrontare autonomamente, con dei suoi progetti “generali” d’intervento, la cura ed il rilancio di un’economia gravemente malata.

Lamentavo, ripeto, che di quest’infermità, e dei rimedi necessari ed urgenti per affrontarla e superarla, non si discutesse, non ci si confrontasse, quasi che il problema non riguardasse il nostro amaro presente, oltre che un futuro possibile per i nostri figli e nipoti. Perché anch’io, come tante famiglie di quest’Isola in pena, ho nipoti che hanno perso il lavoro o che sono indirizzati a cercare altrove il loro futuro.

Ora il Segretario Carrus mi rimbrotta, seppure garbatamente, per aver criticato la proposta-richiesta del suo sindacato alla Giunta regionale, quasi che io non avessi consapevolezza della gravità della situazione sociale in cui l’Isola si trova. Ma se non fosse stato proprio per esserne consapevole ed amareggiato, perché mai avrei espresso quelle mie preoccupazioni e quel mio sconcerto per l’indifferenza e l’inedia con cui si accettava l’aggravarsi della malattia senza proporre dei rimedi che fossero veramente efficaci?

Sono quindi del tutto d’accordo che ci si trovi in piena emergenza e che spetti alla guida politica varare con urgenza degli interventi correttivi, ad iniziare dal velocizzare la spesa ordinaria regionale, che oggi procede molto più lentamente dei nostri treni-lumaca, e che penalizza fortemente il mondo produttivo. Per proseguire ancora con il necessario rafforzamento dell’attuale struttura industriale, dove vi operano circa 25 mila aziende (di cui 9 mila non edili) con un’occupazione media assai bassa: 3,2 addetti. Rafforzarle, nel mio pensiero, significa sostenerle nella crescita a mezzo di sgravi e premi, introducendo, con procedimenti semplici ed accessibili, dei processi innovativi per ottenere una migliore produttività e nuova occupazione (con l’obiettivo di dover raggiungere la media di 4,5 addetti per impresa). Cioè, dando sostanza e strumentazioni adatte ad una moderna ed efficace “politica industriale”, illustre sconosciuta nella Sardegna d’oggi.

Il motivo del dissenso parte quindi da questa proposta d’intervento, come da me argomentata, anziché dare vita ad una serie di mini-appalti in “cantieri di scopo”, diffusi nel territorio, come suggerisce e richiede il leader della CGIL. Perché – aggiungo – gli aiuti pubblici d’emergenza e di soccorso, distribuiti a pioggia, sono del tutto inefficaci, come insegna la storia, in quanto, se ne eliminano momentaneamente le sofferenze, non ne rimuovono in alcun modo le cause. Come la cibalgina nelle affezioni tumorali. Molto meglio sarebbe quindi l’intervenire, con adeguati mezzi ricostituenti, per rafforzare l’esistente struttura industriale, indebolita da anni di marginalità e di abbandono, in modo che, rivitalizzandola, se ne arresti l’ulteriore declino.

Andrebbe aggiunto, come si apprende ora dal Segretario Carrus, che quell’insieme di “lavoretti”, a cui si vorrebbe che andassero i 100 milioni di euro del bilancio regionale, sarebbe formato da dei piccoli interventi di spesa, in gran parte fine a se stessi. Qualcosa non molto differente, per inefficacia strutturale, da quel disorganico  pot-pourri, da quell’accozzaglia di iniziative mignon nate sotto l’ombrello dei vari Pia, Leader, Pit, che ho citato nel mio intervento.Non  vi è dubbio alcuno, quindi, che tutto questo sia all’opposto di quel saper “guardar alto e lontano” che è nella grammatica e nella sintassi dello sviluppo, come ci è stato insegnato da Schumpeter, Keynes e Gerschenkron in avanti.

Da troppo tempo, ormai, la politica sarda ha invece lo sguardo corto e terra-terra, impegnata a distribuire, su richieste esterne, dei benefici ad incasso immediato (di voti), più che volersi impegnare nel porre le premesse per un progresso duraturo. Così si è andato distruggendo, giorno dopo giorno, tutte quelle infrastrutture istituzionali (dagli enti di programmazione a quelli creditizi) che tra gli anni ’60-’70 avevano diretto e sorretto la grande avventura della Rinascita, che, pur con degli inevitabili errori, era riuscita a realizzare, a livello quantitativo ed aggregato, un grande successo – come sostiene un autorevole economista come Gianni Toniolo – “che tutte le successive qualificazioni possono ridimensionare, ma non annullare”.

Da una ventina d’anni in qua, la Sardegna non ha più, purtroppo, una sua politica dello sviluppo, soprattutto volta a sostegno delle attività produttive (in primis quelle industriali), mentre si sono annacquate e depotenziate tutte le competenze e le esperienze maturate nel passato. Nel silenzio e nell’acquiescenza generale di una classe dirigente imbelle, sprovveduta ed autoreferenziale.
Sono così venuti a mancare, soprattutto, sia una guida generale “politica” degli interventi che una coerente strategia operativa che determinasse gli indirizzi da perseguire e gli obiettivi da raggiungere. Senza dei quali, a mio parere, non si esce dall’attuale crisi, così come senza ridare nuovo slancio e maggiore spazio di crescita ad un’industria, ridotta ora in abbandono e in solitudine, non si va da nessuna parte. Soprattutto tenendo ben a mente (questo mio è solo un auspicio) che le modeste risorse pubbliche oggi disponibili non vadano più disperse e vanificate in aiuti e soccorsi assistenziali che sono, ripeto, l’aspetto deteriore e alternativo dello sviluppo.

Paolo Fadda

P.S. Mi scuso se nel mio scritto contestato e definito come stonato da Michele Carrus, ho utilizzato l’espressione togliattiana di “cinghia di trasmissione”, ritrovata nel mio archivio di ricordi, per descrivere la vicinanza tra sindacato e partito di riferimento. Ma l’acquiescenza da parte dell’Assessore Paci alla richiesta della CGIL me ne aveva sollecitato l’utilizzo.

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