Né Minetti, né Fornero. Solo donne

E’ utile una legge sulla parità di genere che garantisca rappresentanza paritaria nelle istituzioni? Dico sí, e a prescindere dalle donne che ci rappresenteranno. E non perché sia d’accordo con la Santanché che: “Nicole Minetti come Nilde Iotti”. Tutt’altro. Ciascuno di noi ha provato un brivido lungo la schiena quando ha sentito questo accostamento che neanche un esperto conoscitore delle miserie umane come Matt Groening avrebbe fatto pronunciare al maschilista Burt.

Ciascuno di noi ha provato poi il desiderio di leggere (e a voce alta) alla Santanché una semplice biografia della Jotti, prima o dopo l’amore di una vita per il suo Palmiro.

Ma, passato l’orrore, o proprio per l’orrore che suscita, la frase può essere utile a scardinare alcuni radicati pregiudizi, che, a causa del radicamento, non si avvertono più come tali.

E il primo pregiudizio, che circola dai bar alle alte Istituzioni dello Stato, si fonda su un semplice ragionamento errato: se una donna non dimostra di valere più di un uomo, allora non vale la pena di votare al femminile. Da una donna ci si aspetta qualcosa di più, altrimenti tant’è tenersi un uomo. Il ragionamento, si fa per dire, potrebbe benissimo essere ribaltato: perché tenersi un uomo se non vale più di una donna? Ma già partire da qui sarebbe rivoluzionario. L’ironia (o il tragico) è che anche molte donne non escono da questo schema.

Il piccolo passo avanti (i cambiamenti si fanno anche un poco alla volta) sarebbe dunque quello di votare comunque donna, soprattutto da parte delle donne, e rimandare la selezione su base del merito a una fase successiva. Cosa del tutto naturale quando si vota uomo. Uno stolto, un incompetente o un corrotto al comando è cosa errata e pericolosa, ma per un uomo quasi si mette in conto. Per una donna no. O geniale o niente. O eccellente o niente. Per la donna essere capace è un prerequisito, per l’uomo un’attenuante.

Poi, ma solo poi, una volta superati i pregiudizi, nell’universo femminile, come in quello maschile, si dovrebbe sempre poter scegliere. E allora io, fra i modelli Minetti o Fornero, tra il tacco dodici e il mocassino grandi firme, tra le cortigiane belle e prezzolate dai lunghi curricula orizzontali e le bocconiane donne-uomo in carriera, tra chi dalla pelliccia al seggio e le figlie o mogli di uomini arrivati, vorrei poter scegliere la terza via. Quella di donne che amano studiano seducono riflettono. Quella delle madri, semplicemente. Non biologicamente, strutturalmente e ideologicamente piuttosto. Madri universali. Che non si propongono cioè come la brutta copia degli uomini, ma piuttosto come portatrici di modelli di quella che definirei una nuova organizzazione amministrativa di vita e di quello scatto di generosità che le madri sanno.

Penso, ad esempio, a quale sarebbe stata la sorte di un partito mai nato, quale il Pd, nato sei anni fa con parto innaturale e senza gravidanza, perché forse non c’era altro modo di farlo nascere, se fosse stata affidata a delle madri. Far crescere un Partito non è più facile che far crescere un neonato. I neonati, noi mamme lo sappiamo bene, necessitano di gesti di grande generosità, gesti disinteressati dai quali non ci si aspetta niente in cambio. Lo dovevamo a quel neonato, che è stato invece, contro ogni legge biologica, trattato come un genitore adulto cui chiedere la paghetta. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Penso a quale sarebbe la sorte della Istituzioni se questo termine, generosità appunto, entrasse a far parte delle categorie della politica.
Penso che potrebbe e noi potremmo fare la differenza. Per fare piú strada, tutti insieme. Perché potrebbe permettere a tutti di dedicarsi allo Stato, alla società, alla famiglia o semplicemente di coltivare se stessi, nella dimensione che ognuno percepisce come la propria identità o il proprio posto nel mondo.

Marina Spinetti

 

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