Mauro Pili “formalizza” la fine del berlusconismo sardo

Quando gli storici ricorderanno la fine del berlusconismo, probabilmente dedicheranno qualche riga anche a quanto è accaduto poco fa a Cagliari. Perché la decisione di Mauro Pili di candidarsi come governatore – e di lasciare il Pdl spaccando il fronte del centrodestra – è uno dei primi effetti politici “palpabili” del tramonto del Cavaliere.

Difficile sapere se in questo momento a esultare maggiormente siano i suoi seguaci o i leader del centrosinistra sardo. La decisione di Pili – attesa con trepidazione da mesi – infatti modifica totalmente le prospettive per le elezioni regionali del 2014 nelle quali, fino a poche ore fa, si annunciava una guerra fratricida tra le opposizioni (centrosinistra, Michela Murgia e Movimento 5 Stelle) contrapposte a un centrodestra unito. Con la seria possibilità di una riconferma di Ugo Cappellacci o chi per lui.

Dividendo il centrodestra, Pili lo espone a una probabile sconfitta. Una decisione, dunque, molto pesante. Molto difficilmente ricomponibile, almeno finché esisterà il Pdl che oggi conosciamo.

L’ex governatore è un uomo esperto e accorto. Sa bene che un’organizzazione sarda del centrodestra priva di solidi contatti con Roma ha un breve futuro. Ma sa bene che a Roma si è alla vigilia di una diaspora. Non mancherà un luogo nel quale accasarsi nei prossimi anni e nei prossimi mesi se le cose andranno secondo le previsioni.

Ma quali previsioni fa, quali aspettative ha Mauro Pili per se stesso? Le opinioni attorno al suo peso elettorale sono molto discordanti. C’è chi lo accredita di percentuali a due cifre, c’è chi sostiene che in realtà è sopravvalutato. Ma va detto che i sostenitori di quest’ultima tesi erano anche quelli che escludevano che alla fine si sarebbe candidato al governo dell’Isola. Pensavano che volesse solo “alzare il prezzo”, come in effetti aveva fatto prima delle Politiche ottenendo in questo modo il posto di capolista. Sono appena stati appena smentiti.

Un segnale chiaro di come Pili valuta il suo peso arriverà quando avrà chiarito come intende presentarsi. Se, cioè, con la sola lista del suo “Unidos” o in coalizione con altri. Nel primo caso gli basterebbe il 5 per cento, nel secondo caso per mettere suoi rappresentanti in Consiglio dovrebbe superare il 10 per cento. Ma se anche superasse questa altissima soglia di sbarramento, difficilmente sarebbe eletto.

Già, perché la solita legge elettorale prevede che a entrare in Consiglio siano solo i primi due classificati nella gara dei governatori. Il terzo, il quarto e così via restano fuori. Indipendentemente dai voti che hanno ottenuto. In astratto, potrebbe accadere che un terzo classificato col 20 per cento dei voti resti fuori.

Ma entrerebbe un certo numero dei suoi uomini candidati nelle varie circoscrizioni. Ed è forse questa la chiave giusta per interpretare la decisione di Mauro Pili. Il quale da tempo ostenta in pubblico e in privato la convinzione di poter “arrivare primo”. Ma se benissimo che l’obiettivo è molto poco probabile, come anche quello di arrivare secondo. A meno di una contemporanea implosione di centrosinistra, centrodestra, Michela Murgia e Movimento 5 stelle.

E’ questo quadro a qualificare la decisione di Pili come uno dei primi segnali forti, anche in campo nazionale, della fine del Popolo della libertà. E’ assai improbabile che Pili diventi alla fine governatore, ma è molto probabile che attraverso le elezioni regionali consolidi la struttura di Unidos dando, contemporaneamente, un posto ad alcuni dei suoi uomini nel territorio.

G.M.B

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