Maninchedda, lo statista più agile della storia sarda

Mi dicono che Paolo Maninchedda, che è un uomo politico di un certo peso, ha sottratto un po’ di tempo ai suoi tanti impegni per commentare, sul suo blog, un mio articolo apparso su “La Nuova Sardegna” nel quale sviluppavo una serie di concetti esposti in precedenza anche su “Sardinia Post”.

La notizia mi ha lusingato, ma anche sorpreso. Mai ho nominato l’onorevole Maninchedda in alcun articolo, eppure lui mi risponde. Come è possibile? L’unica risposta è che si sia riconosciuto nel “sabotatore” di ieri diventato il “pasticcione” di oggi che era la figura centrale del mio ragionamento attorno al ‘pasticcio’, appunto, della nuova legge statutaria.

In effetti, se faccio memoria sul “ieri”, ricordo che nella scorsa legislatura l’onorevole Maninchedda sedeva nei banchi del Consiglio regionale. Non è difficile, perché non passava inosservato. Direi che tutti, a prescindere dalla collocazione politica, lo ammiravano per l’agilità. Un vero acrobata, capace di piroette sensazionali, di contorsioni ed avvitamenti spettacolari. Aveva iniziato la legislatura nei banchi della sinistra, poi era saltato nei banchi del centro, per poi finire in quelli della destra.

Un uomo politico esigente, mai pago. Perennemente insoddisfatto. Quello che colpiva era il suo aristocratico distacco rispetto a un proscenio che non lo meritava, la sua perenne ricerca di un centro di gravità permanente. Oltre alle sua indubbia agilità, gli veniva riconosciuta una febbricitante oratoria. Era capace di argomentare su tutto e sul contrario di tutto. Un eloquio ruvido, tagliente, apodittico, assertivo. Ad un ascoltatore poco rispettoso di tanto ingegno, a volte veniva il dubbio che quel fiume di parole non servisse a risollevare i destini della Sardegna, ma solo ad alimentare un ego ipertrofico.

Sembra di sentirle le sue invettive contro la legge Statutaria elaborata dalla Giunta di sinistra, le sue grida contro l’elezione diretta del Presidente della Regione, i suoi timori per la democrazia in pericolo. Tutto passato. Oggi che la sinistra non è più al governo della Regione, il Presidenzialismo è diventato cosa buona e giusta.

Nel frattempo, questo nostro raro statista, oltre che essersi ricreduto sulla forma di governo, è diventato un autorevole dirigente del partito che fu di Lussu e Bellieni. La sua ricerca di un centro di gravità permanente, iniziata prima nella DC, poi nel Partito Popolare, poi ancora in Progetto Sardegna di Soru, è finalmente approdata nel PSd’Az. Oggi discetta di Sovranità e di Indipendenza e, siccome viviamo in tempi cupi, che mortificano i talenti, comprensibilmente si adombra quando gli si ricorda l’immagine dei dirigenti sardisti che, oranti e genuflessi, consegnano al sovrano di turno, Berlusconi, la bandiera dei quattro mori. Peggio che peggio, quando qualcuno osa ricordargli la partecipazione diretta dei sardisti alla Giunta di destra presieduta da Cappellacci, la condivisione acritica e incondizionata di tutte le scelte più deleterie per la Sardegna. Un patrimonio di storia, di cultura, di dignità e fierezza, che apparteneva a tutti i sardi, svenduto in cambio di un piatto di lenticchie: un Assessorato e la Presidenza della Commissione Autonomia, appunto.

Ma, come diceva James Russel Lowell, solo gli stupidi non cambiano idea. Una massima che l’onorevole Maninchedda ha scolpito appassionatamente, a colpi di testa, sul granito della storia sarda. Verrà di certo il giorno in cui i sardi riconosceranno il suo genio. Sempre che, in un guizzo finale, la sua agilità non lo spinga a farsi lombardo, piemontese o cittadino delle isole Cayman. Comunque, e anzi a maggior ragione, faremo tifo per lui.

Massimo Dadea

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