“L’Unione sarda” e lo strano caso dell’editore-editorialista

Questo comporta tuttavia anche una grande responsabilità: quella di fare ogni sforzo possibile per garantire un futuro a questa prestigiosa Testata giornalistica e a tutti coloro che, all’interno di questa Azienda, sono concentrati e impegnati con me ad assicurare una migliore qualità, credibilità e autorevolezza dei contenuti e, di conseguenza, un maggiore successo in edicola”.

È il passaggio più significativo dell’editoriale col quale l’editore de l’Unione sarda, Sergio Zuncheddu, dà il benvenuto a Emanuele Dessì, nuovo direttore unico delle testate giornalistiche del gruppo (oltra al quotidiano cartaceo, quello on line, Videolina e Radiolina). “Questo” è, appunto, l’assunzione della direzione giornalistica dell’intero gruppo editoriale.

L’editoriale dell’editore è un evento inconsueto. Il galateo non scritto, ma applicato regolarmente dalle più importanti testate giornalistiche, prevede che il passaggio del testimone sia scandito da un editoriale di saluto del direttore uscente, un editoriale “di ingresso” del nuovo direttore. Nel caso de l’Unione, invece, non c’è stato alcun commiato dai lettori da parte del direttore uscente Anthony Muroni. Il quale ha dato la notizia sabato scorso sulla sua pagina Facebook senza spiegare le ragioni del cambio.

Zuncheddu, invece, ne delinea il contesto quando parla addirittura della necessità di “garantire il futuro” alla testata e ai suoi dipendenti. Un futuro che, evidentemente, è in discussione. Non è una grande rivelazione. È infatti, ormai da parecchi anni, in discussione la stessa esistenza dei quotidiani cartacei. Sono da anni in libreria numerosi studi sull’argomento. Tutte le principali testate sono impegnate nella complicata transizione dalla carta all’on line. È in atto un “calo fisiologico” delle copie vendute. Effetto di due fattori convergenti: la crisi economica e la rivoluzione tecnologica. Un calo che ha colpito in modo pesante l’Unione sarda, come un po’ tutte le testate.

Nel suo singolare articolo di fondo, Sergio Zuncheddu fornisce qualche elemento attorno al percorso attraverso il quale il futuro della testata potrà essere garantito. Quello, sostanzialmente, dell’integrazione tra le diverse piattaforme del gruppo editoriale. In modo che – scrive – “lettori, telespettatori, radioascoltatori e utenti web… qualunque sia la loro preferenza possano ritrovare sempre lo stesso stile, stessa linea editoriale e il medesimo ‘tono di voce’, come si dice per il mondo di internet”. È la linea adottata – in varie forme – da tutti i gruppi editoriali. Ed è sorprendente che l’editore annunci oggi l’avvio di un percorso che avrebbe dovuto avviare da diversi anni. E che lo faccia sostanzialmente attribuendo alla precedente direzione giornalistica la responsabilità della crisi in atto. Attribuendo poi – coerentemente – alla nuova direzione giornalistica la responsabilità di risolverla.

L’editoriale di Sergio Zuncheddu ha alcuni passaggi particolarmente sgradevoli. Quando, per esempio, si dice certo che il nuovo direttore “impiegherà senza distrazioni tutta l’energia di cui dispone per il conseguimento di questi obiettivi”. Come se altri, invece, non avessero fatto altrettanto e si fossero, appunto, “distratti”. O come quando – dopo aver salutato il direttore uscente col “minimo sindacale” della cortesia aziendale (lo ringrazia per il “buon lavoro svolto”, e punto) afferma che lo scopo della istituzione del “direttore unico” è quello di garantire “coerenza e armonia” tra le varie piattaforme. Sottintendendo che a suo giudizio, fino a ora, questa coerenza non c’è stata.

Siamo in definitiva in presenza del tardivo avvio della costruzione di un nuovo modello editoriale. Con un ritardo gravissimo la cui responsabilità dovrebbe andare in capo, appunto, all’editore. I giornalisti hanno eventualmente la responsabilità di non averne sollecitato l’avvio. O di non averlo sollecitato con la convinzione adeguata. Ma che le copie sarebbero fisiologicamente calate e che fosse necessario adottare al più presto delle contromisure lo sapevano anche le pietre. Solo in Sardegna è ancora invalsa l’abitudine di scaricare sulla parte giornalistica gli errori che derivano dall’assenza di una vera cultura dell’industria editoriale. Un vezzo, purtroppo, a cui non si sottrae parte della stessa categoria. Salvo, poi, pagarne le conseguenze.

Vedremo adesso se davanti a questo intervento padronale ci sarà un sussulto delle coscienze. E, chissà, anche di un mondo politico che ha largamente sovvenzionato –non solo attraverso la pubblicità istituzionale, ma anche l’affitto di immobili – un editore che si accinge a far pagare i suoi errori ai suoi dipendenti.

 

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