L’odio razziale sui social e la Sardegna. Ignoranza, pregiudizi e scarsa memoria

A leggere la pagina Facebook “No all’accampamento degli zingari a Sorso” si resta colpiti per la quantità di commenti che hanno come preoccupazione principale quella di chiarire di non essere razzisti. Una pretesa che stride con l’avvio, da parte della procura della Repubblica di Sassari, di accertamenti su una settantina di persone che hanno frequentato quella pagina inserendovi commenti violentemente xenofobi. Dei veri e propri incitamenti all’odio, con qualche esplicito invito a passare dalle parole ai fatti.

Com’era facilmente prevedibile, i commenti più violenti sono stati cancellati. I cyber-razzisti, come i cyber-bulli, non sono coraggiosissimi. Non appena scoprono – molti di loro infatti non lo sanno – che anche le parole, certe parole, possono configurare un crimine, semplicemente le fanno sparire. Intanto, però, hanno contribuito a spargere un po’ di odio e a consolidare in altri utenti l’idea che sui social la violenza verbale sia ammessa. Secondo gli ultimi rilevanti dell’Unar, l’Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali, delle 1300 segnalazioni di atti di discriminazione raccolte nel 2014, un terzo è avvenuta nei media e in particolare sui social. Un fenomeno in crescita tanto che l’Unar, alcuni mesi fa ha lanciato uno spot dedicato al razzismo sul web.

La vicenda che racconta Michele Spanu è una perfetta sintesi del problema. E andrebbe studiata ed esaminata in ambito nazionale perché costituisce, in scala, un modello delle dinamiche che l’uso improprio e irresponsabile dei social media è in grado di innescare. Non è possibile sapere come andrà a finire l’inchiesta della procura di Sassari, ma il fatto che in una comunità di 14mila abitanti, una settantina di essi siano sottoposti a accertamenti per incitamento all’odio razziale è anche quantitativamente impressionante. E Sorso non è certamente “più razzista” di altri luoghi d’Italia.

È successo che, per una serie di sfortunate coincidenze, per una sorta di alchimia negativa, il peggio del web e il peggio del sentire di alcuni cittadini si sono incontrati. Innescando una reazione a catena che è stata bloccata troppo tardi. Così una vicenda banalissima – che infatti si è risolta in modo banale – è stata l’occasione per determinare un embrione di pogrom mediatico. Qualcosa che – con questa densità – non si era mai visto. E, con qualche accorgimento, si dovrebbe riuscire a non vedere più.

Proprio in questi giorni è in atto un dibattito tra i giornalisti europei per arrivare a stabilire un codice di regole contro l’hate speech, il discorso d’odio. Alcune testate hanno già provveduto autonomamente, come la Stampa di Torino che, dopo una serie di commenti insultanti in calce a un articolo sulla bambina rom inglese che ha un quoziente intellettivo superiore a quello di Albert Einstein, ha annunciato che ne ‘bannerà’ (cioè espellerà dalla sua comunità mediatica) gli autori e ha invitato i lettori a non rispondere per non accreditare in alcun modo i cyber-razzisti.

Ma c’è un aspetto che riguarda direttamente i responsabili delle comunità e gli organi di informazione. Anche questo è molto banale: la correttezza delle notizie. Il sindaco di Sorso, che pure dichiara di essere poco esperto delle dinamiche del web, ha colto perfettamente il nodo del problema. Insulti a parte, il piccolo pogrom di Sorso è andato avanti perché si sono diffuse notizie totalmente false. L’iniziativa di una famiglia rom – che aveva acquistato un terreno per sistemare la roulotte – è così diventata per molti il primo passo per arrivare alla creazione di un gigantesco “campo”. La cui “recinzione” è stata a un certo punto individuata in un’area dove, in realtà, era in atto un intervento dell’Istituto autonomo case popolare.

Ma le notizie false relative al fatto specifico non bastano: non produrrebbero certi impazzimenti se non si sovrapponessero ai luoghi comuni e i pregiudizi. Come quello – che continua a resistere tenacemente benché non sia stato registrato alcun caso che lo confermi – secondo il quale “gli zingari rubano i bambini”. I pregiudizi e luoghi comuni sono la categoria più insidiosa di informazioni false: sono così diffusi che in molti non ritengono di doverli mai sottoporre a verifica e sono accettati benché trovino il loro fondamento nel negare acquisizioni unanimemente riconosciute dal mondo scientifico. A partire dall’impossibilità di dividere il genere umano in “razze”.

Certo, dispiace che questa vicenda sia accaduta in Sardegna. Cioè all’interno di un popolo che dovrebbe ricordare di essere stato vittima, fino a pochi decenni fa, di analoghi pregiudizi. Quelli, per esempio, che attribuivano ad alcuni di noi una particolare indole criminale. La perdita della memoria è, assieme all’ignoranza, il miglior alleato dell’odio.

G.M.B.

 

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