Lo strano caso dell’ex governatore che agisce come un lobbista

Come i nostri lettori sanno dal 1° ottobre del 2012 (il giorno in cui il nostro giornale è andato on line), l’editore di Sardinia Post è il gruppo Onorato Armatori, che controlla le compagnie di navigazione Moby e Tirrenia. L’essere di proprietà di gruppi imprenditoriali è la condizione ordinaria, salvo rare eccezioni, dell’intero sistema italiano dell’informazione. Una condizione destinata a durare ancora a lungo nel tempo per la semplice ragione che il sistema dell’informazione vive (non solo nel nostro Paese, ma a livello mondiale), la condizione più difficile che possa toccare a un comparto industriale: un’autentica rivoluzione industriale in fase di recessione. Ecco perché sono rarissimi i cosiddetti “editori puri”. Tocca ai giornalisti – in un chiaro e trasparente rapporto con l’editore – garantire ai lettori un’informazione completa e corretta. I lettori hanno modo di verificarlo tutti i giorni. Da parte nostra possiamo dire che, in questi anni, abbiamo pubblicato tutte le notizie di interesse pubblico e tutte le dichiarazioni di esponenti politici. Compresi quelli più lontani dalla nostra linea politico-editoriale.

Ieri, nello svolgere il nostro lavoro quotidiano, abbiamo incontrato una novità rilevante. Che riguarda, contemporaneamente, il nostro mondo – il mondo dell’informazione – e la politica. Si è avuta la conferma del fatto che un esponente politico di un certo rilievo nell’Isola – Mauro Pili, già presidente della giunta regionale per il centrodestra, poi deputato, ora leader di una formazione politica denominata “Unidos”– agisce esplicitamente per conto di un gruppo imprenditoriale. E che una parte considerevole delle dichiarazioni che diffonde con ritmi incessanti “a difesa degli interessi dei sardi” sono, in realtà, a difesa degli interessi del Gruppo Grimaldi, società armatoriale da tempo impegnata in una campagna finalizzata a ottenere la revoca della convenzione stipulata dallo Stato col Gruppo Onorato per l’esercizio dei servizi di collegamento marittimo con la Sardegna, Sicilia e isole minori.

È successo che il Gruppo Onorato ha annunciato di aver presentato querela nei confronti di Mauro Pili e di aver chiesto all’autorità giudiziaria di indagare su una “campagna diffamatoria” articolata “anche attraverso interventi diretti del direttore short-sea della Grimaldi Lines, Guido Grimaldi”. Secondo il Gruppo Onorato, dietro questa azione non c’è solo la sempre legittima concorrenza imprenditoriale, ma la volontà di colpire la campagna da tempo avviata da Vincenzo Onorato, patron di Moby e Tirrenia, contro la pratica di gruppi armatoriali italiani, e anche di Grimaldi, di assumere sulle loro navi personale extracomunitario. Non per motivi umanitari o per favorirne l’integrazione. Semplicemente per risparmiare sul costo del lavoro. Agli extracomunitari, infatti, non viene applicato lo stesso contratto degli italiani. Le paghe sono considerevolmente inferiori e le condizioni di lavoro, e i corrispondenti diritti, in alcuni casi richiamano l’epoca del feudalesimo e dei servi della gleba.

E fino a qua siamo nella norma di un conflitto politico-imprenditoriale durissimo. Sul quale, adesso, indagherà la magistratura. Ciò che invece è del tutto fuori dall’ordinario è quanto è emerso ieri sera con la diffusione, da parte del Gruppo Grimaldi, di una nota nella quale tra l’altro si legge: “Apprezziamo l’iniziativa del Presidente Mauro Pili, nonché quella del Presidente Ugo Cappellacci, e ci rallegriamo per la sottoscrizione della petizione da parte di oltre 60.000 cittadini i quali chiedono la revoca della Convenzione per la continuità territoriale vigente tra lo Stato Italiano e Tirrenia. Il nostro non è quindi un ruolo ambiguo ma un chiaro sostegno ad una lodevole iniziativa che difende gli interessi dei cittadini italiani”.

In parole povere, il gruppo Grimaldi conferma il suo “chiaro sostegno” all’azione che due ex governatori della Sardegna svolgono nel suo interesse. E mentre non sorprende che un gruppo imprenditoriale sostenga che l’interesse pubblico coincida col proprio, sorprende molto, invece, che un esponente politico agisca da lobbista senza qualificarsi come tale, ma anzi tenti di accreditare questa attività come svolta nell’interesse generale.

In Italia non esiste ancora una legge che regoli in modo organico l’attività di lobbying. Ne esistono in altri Stati, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, e tra l’altro prescrivono che chi ha ricoperto incarichi politici debba astenersi per almeno due anni da qualunque attività di lobbying. Esistono poi norme che impongono ai lobbisti di rendere pubblici i finanziamenti ricevuti e il loro importo. In Italia, pur non esistendo una legge, ci sono dei regolamenti che alcune amministrazioni si sono date. Alla Camera dei deputati, per esempio, i lobbisti registrati come tali hanno una loro apposita stanza, ma non possono accedere al Transatlantico né alle sale adiacenti alle Commissioni quando vi sono lavori parlamentari in corso. La ratio di questa regola è in sintonia con tutte le normative internazionali in materia: marcare in modo netto la distinzione tra “rappresentanti del popolo” e rappresentanti di interessi privati. Sarebbe opportuno che l’onorevole Mauro Pili (e magari anche l’onorevole Cappellacci) chiarisse se, come il tenore della nota del Gruppo Grimaldi fa intendere quando parla di “chiaro sostegno” alla “lodevole iniziativa”, riceve dei finanziamenti dal medesimo Gruppo. A meno che – e in questo caso saremmo davvero in presenza di un caso unico al mondo – non siamo in presenza di una rarissima specie di lobbista a titolo gratuito.

(nell’illustrazione, un’ironica rappresentazione dei rapporti tra politici e lobbisti in una vignetta di Study.com)

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