L’emergenza è diventata ordinaria. La prudenza no

Nell’evoluzione urbanistica del territorio della Sardegna l’acqua ha mutato il significato della sua presenza: da bene raro e quindi da salvaguardare a male da cui difendersi nelle aree divenute fragili, dal punto di vista idrogeologico, per gli insediamenti dell’uomo. Per essere più sicuri forse ritorneremo alle palafitte. Saranno palafitte moderne, ovviamente, ma ci eleveremo di qualche metro sul terreno per tenerci a distanza dalle acque. Chissà che non sia davvero questa la prospettiva dei territori attraversati dai corsi d’acqua, dato che l’incuria e la bramosia dell’uomo di strappare la terra alla natura non avrà fine.

Eppure davanti al ripetersi di eventi climatici eccezionali come quelli tragici di ieri dovremmo essere fortemente cauti. Il principio di precauzione ce lo impone l’Europa con l’articolo 191 del Trattato europeo in base al quale gli interventi sull’ambiente debbono ubbidire ai “principi della precauzione e dell’azione preventiva …. dei danni causati all’ambiente” .

Si tratta di un principio che, a sua volta, si rifà a quello del trattato di Rio de Janeiro sul clima del 1993 in base al quale “in caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive” dirette a prevenire il rischio ambientale.

Tale principio ha un significato sia fisico che comportamentale. Sul piano fisico i piani di precauzione come il “Piano di assetto idrogeologico” del 2006 ed il “Piano delle fasce fluviali della Sardegna” avviato nel 2008 debbono avere contenuti in continuo aggiornamento “peggiorativo” per quanto attiene l’edificabilità dei suoli e non, invece migliorativo, sotto le pressioni degli interessi fondiari. E le opere di protezione e di mitigazione dei rischi per i territori vulnerabili debbono essere tali da non costituire, per le persone e le cose, un potenziale rischio neanche in caso di eventi estremi, come quello di ieri in Sardegna. In caso contrario si confermino e si rafforzino i divieti di urbanizzazione del territorio.

Sul piano comportamentale occorre fare della precauzione un metodo di azione che coinvolga la popolazione intera perché affronti tali eventi climatici “estremi” non più nella loro straordinarietà ma nell’ordinarietà. Dal 1999 ad oggi abbiamo avuto in Sardegna ben quattro eventi “straordinari”, come quello di Capoterra del 1999, di Villagrande e della Baronia nel 2004 ed, ancora, di Capoterra e altre estese zone della Sardegna nel 2008 e, ai giorni nostri, la catastrofe ambientale di ieri.

Saranno tutti eventi straordinari ma che si ripetono con straordinaria ordinarietà: dunque si adotti una politica di educazione civile sul come affrontare le situazioni di rischio preparando adeguatamente le nostre popolazioni, ad affrontarle. A partire dal dichiarare inabitabili gli scantinati trasformati, nei nostri paesi, in vere e proprie trappole della morte, in quella corsa al metro cubo abitabile, e quindi vendibile, che oramai è divenuta una nostra cultura diffusa.

Ci dobbiamo abituare, cioè, alla ripetitività di eventi che, come si è compreso, si ripresenteranno così come sono accaduti nel recente passato. Dei tanti soldi pubblici spesi dalla Regione in notiziari, pubblicità e spot vari, di cui spesso si avverte l’inutilità, se ne risparmi un poco per intraprendere un’azione educativa e di prevenzione dei rischi individuali e collettivi. E’ questo un compito primario della Regione.E’ un percorso lungo, ma ogni giorno rimandato è un giorno perso.

Carlo Mannoni

 

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