Amianto. Anche in Sardegna, una bomba a tempo per la salute

 Per chi ha da quarant’anni in su l’amianto è un ricordo d’infanzia. Un materiale onnipotente, indistruttibile, tanto da essere entrato nel linguaggio (“Ha i piedi d’amianto” si diceva del santone capace di camminare sui carboni ardenti) e in quello delle produzioni industriali (con un marchio molto evocativo: Eternit). Oggi sappiamo che si trattava di puro veleno. Quelle pagliuzze argentate che venivano sprigionate, quando si spezzavano, dalle tegole grigie delle coperture dei garage, delle cucce dei cani, dei capannoni industriali  erano come minuscoli aghi intrisi di morte. Una morte che insorge anche decenni dopo l’inalazione delle polveri d’amianto attraverso malattie quali il mesotelioma pleurico, l’adenocarcinoma al polmone, l’asbestosi.
La sedia da spiaggia di amianto Willy ghul in un'immagine pubblicitaria degli anni Cinquanta
La sedia da spiaggia di amianto Willy ghul in un’immagine pubblicitaria degli anni Cinquanta
Dal 1992 – quando la legge 257 ne bandì l’uso in Italia – sappiamo ‘ufficialmente’ (i ‘sospetti’ sono molto più antichi: risalgono agli anni Cinquanta)  quant’è pericoloso l’amianto per la salute pubblica. Fino a quel momento l’avevamo usato ovunque: nei vagoni ferroviari, nelle strutture degli ospedali, nelle tubazioni, nei caminetti e perfino per realizzare una poltrona chiamata Willy ghul. E infatti continuiamo a trovarlo ovunque. I cagliaritani anche nella sabbia del Poetto, triste ricordo dei tetti dei mitici casotti colorati. Nel capoluogo sardo c’è anche, in pieno centro, una concessionaria d’auto che ha tuttora il suo garage  totalmente coperto di eternit. Ogni anno viene svolto un controllo sulla sua integrità e se ne rinvia lo smantellamento. Non è un’eccezione: casi del genere s’incontrano in tutt’Italia.
Dal 1992 le persone colpite da patologie connesse all’amianto godono di benefici previdenziali la cui concessione è subordinata a una serie di condizioni, e di accertamenti, che spesso confliggono con la tragica realtà dei fatti. Il riconoscimento della correlazione tra l’esposizione all’amianto e il sorgere delle patologie ha prodotto un gigantesco contenzioso legale. Non solo sul piano civilistico ma anche penalistico. Basti pensare al processo per la cosiddetta ‘fabbrica della morte’, la Eternit  di Casale Monferrato: 1800 vittime in quarant’anni e un’estenuante battaglia condotta dai sindacati e degli abitanti della zona che si è alla fine conclusa con la condanna esemplare dei titolari.

L’amianto, coi suoi aghi di morte, è un veleno speciale. Capace di stare in sonno per decenni. E di insinuarsi nelle situazioni più inaspettate. Il caso raccontato nel primo servizio della nostra inchiesta da Carmina Conte, quello dell’impiegata cagliaritana Rita Demontis, è da questo punto di vista esemplare. Ma non è il solo. E, purtroppo, non è detto che la nuova casistica – che è pienamente in atto: ogni anno vengono registrati nuovi casi – si limiti a situazioni straordinariamente sfortunate.

C’è un sospetto pesantissimo che riguarda anche la Sardegna. Il sospetto è che siamo esistiti altri luoghi, altre aree industriali, nelle quali la contaminazione è avvenuta in modo massiccio e diffuso. Parliamo del complesso chimico di Ottana, del petrolchimico di Porto Torres, della centrale elettrica di Portovesme, dell’area industriale di Macchiareddu. Poli industriali nati a partire dagli anni Sessanta e Settanta quando l’amianto veniva usato come se fosse cemento o calcestruzzo. Aree geografiche dalle quali, con sempre maggior frequenza, giungono notizie dell’insorgenza (dopo i soliti trenta/quarant’anni) di patologie correlabili all’amianto. Come, peraltro, sta accadendo in aree gemelle in altre parti d’Italia.

Oggi non è solo Sa die de Sa Sardigna. E’ anche la Giornata internazionale dedicata alle vittime dell’amianto. Con questa inchiesta – che durerà nel tempo – Sardinia Post vuole dare il suo contributo alla conoscenza del fenomeno. E a diffondere la consapevolezza del rischio. Come ha ricordato di recente Felice Casson, il parlamentare che con maggior attenzione e costanza segue questo problema, secondo l’Organizzazione mondiale del lavoro ogni anno le vittime dell’amianto sono circa 120mila, tra le 3000 e le 4000 in Italia. E, a causa del lunghissimo periodo di latenza, il picco dei decessi è previsto tra il 2020 e il 2025.

Se nelle vostre famiglie o tra i vostri conoscenti compaiono patologie con i nomi che abbiamo indicato, fate memoria sul passato lavorativo e ambientale delle persone che si sono ammalate. E informate le autorità competenti o le associazioni che – come l’Aiea, (Associazione italiana esposti amianto  (www.associazioneitalianaespostiamianto.org) si occupano di questo problema drammatico. Se presteremo attenzioni tutti, nessuno resterà solo.

Giovanni Maria Bellu

 

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