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La Sardegna verso l’ingovernabilità

Una legge elettorale folle e i meccanismi interni alle coalizioni prefigurano un quadro politico frammentato e litigioso. Con la seria possibilità che al governo vada non la maggioranza, ma la minoranza più forte

La nuova legge elettorale comincia produrre gli effetti previsti: le due coalizione principali diventano il polo di aggregazione di quasi tutte le organizzazioni minori che vogliono eleggere loro rappresentanti al Consiglio regionale. Ieri è stata la volta del Partito dei sardi di Paolo Maninchedda e Franciscu Sedda, accolto nel centrosinistra nonostante le fortissime riserve dei Rossomori di Gesuino Muledda. Gli avversari del 2009, nel 2014 si ritroveranno nella stessa casa politica. E dopo le primarie del centrosinistra potrebbero aggiungersi anche i sardisti, alleati di Ugo Cappellacci fino a pochi mesi fa.

Lo sbarramento del 5 per cento per i partiti che si presentano da soli, unito all’eliminazione d qualunque soglia per le forze politiche che invece entrano nelle coalizioni, non è il solo motore di questo processo di aggregazione a fini elettorali. A corroborarlo c’è anche l‘assenza del doppio turno che spinge le grandi coalizioni a non andare troppo per il sottile nella selezione dei nuovi alleati. Tutti i pacchetti di voti sono preziosi in un sistema elettorale che dà la vittoria alla coalizione che vince il primo e unico turno. Negli ambienti politici si è ormai accettata l’idea che il futuro governatore della Sardegna possa avere il sostegno di una minoranza dell’elettorato: la minoranza più forte.

Questa dinamica è manifesta nella coalizione del centrosinistra per via delle primarie, la cui preparazione ha l’effetto di rendere pubblici tutti i passaggi del confronto. Ma è in atto anche nel centrodestra dove le velleità di realizzare un “grande centro”, già frustrate dall’insuccesso del tentativo di Mario Monti alle Politiche, si sono ridotte ad un argomento buono per alzare il prezzo dell’ingresso nella coalizione dell‘Udc di Giorgio Oppi. La soglia del 10 per cento per le coalizioni ha un fortissimo potere dissuasivo. Anche se non dovrebbe esercitarlo nei confronti del nuovo polo “indipendentista e ambientalista” che il prossimo 3 agosto ufficializzerà ufficializzare la sua discesa in campo con la candidatura di Michela Murgia al governo della Sardegna.
Tre aggregazioni, dunque, alle quali va aggiunto il Movimento 5 Stelle che “per statuto” si presenta da solo. E che, forte di un eccezionale risultato alle Politiche, può ragionevolmente sperare – anche fatta a tara del suo “calo fisiologico” nelle elezioni locali e del calo generale di consenso che risulta dai sondaggi – si superare la soglia del 5 per cento e mettere qualche rappresentante in Consiglio.

Le elezioni regionale del 2014 si vinceranno sul filo di lana. Anche con percentuali attorno al 25 per cento (questo dato continua a “tentare” alcuni candidati forti, come nel centrodestra Mauro Pili, di correre da soli). E la scarsa omogeneità delle coalizioni prefigura un quadro politico incerto, con la possibilità di un consiglio regionale che nasce sostanzialmente ingovernabile e una legislatura che non giunge a termine. Questo mentre la Sardegna si accinge ad affrontare una fase decisiva: l’alternativa è tra uno scatto di reni che rimetta in moto l’economia e la società e il declino.

L’aspetto paradossale è che al meccanismo innescato dalla legge elettorale ne corrisponde uno analogo all’interno del centrosinistra: la previsione del ballottaggio solo nel caso in cui il candidato non superi il 40 per cento dei voti, potrebbe portare alla guida della Sardegna un governatore che non gode della fiducia della nemmeno della maggioranza della coalizione che lo sostiene. I timori dell'”uomo solo al comando” hanno determinato la polverizzazione della leadership e il rischio concreto del suo definitivo ritorno nelle mani dei signori delle tessere, dei capibastone, dei leader locali.

G.M.B.

 

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