La Saras non è una “grande fortuna”. Ma tenta di farlo credere ai sardi. LILLI PRUNA

I toni e i contenuti della campagna di comunicazione della Saras sui quotidiani regionali, iniziata qualche mese fa in occasione dei 50 anni di attività in Sardegna, rivelano molti aspetti del rapporto tra questa grande industria e il territorio che la ospita. Un rapporto sempre più difficile e deteriorato, su cui pesano l’impatto ambientale pluridecennale dello stabilimento di Sarroch, i morti sul lavoro, le patologie che colpiscono la popolazione e i lavoratori, il progetto di ricerca ed estrazione del metano in altre zone di pregio dell’Isola, ma anche l’enfasi paternalistica tipica della parte peggiore del capitalismo familiare italiano, che pretende riconoscenza e mostra irritazione per le preoccupazioni e le resistenze manifestate dalle comunità o dalle organizzazioni sindacali.

Un’industria pesante non può aspettarsi riconoscenza e nemmeno pretendere acquiescenza. Anche dove manca il lavoro e l’occupazione in una grande industria diventa la fonte primaria di reddito per una o più comunità, nessuno è felice di pagare un prezzo così alto e nessuno può pretendere che si consideri giusto e perfino vantaggioso pagarlo. E’ proprio questo, invece, ciò che la Saras vorrebbe: convincerci che il suo insediamento in Sardegna sia stata una grande fortuna per questa regione, una delle più grandi fortune che ci siano capitate, evidentemente immeritata vista la scarsa riconoscenza che una parte crescente dell’opinione pubblica sarda manifesta nei confronti di questa azienda (compensata tuttavia da abbondanti profitti e da una diffusa deferenza da parte della classe politica locale, che ha stretto nel tempo alleanze reciprocamente proficue).

I toni e i contenuti della campagna di comunicazione della Saras sui quotidiani regionali vorrebbero proprio ribadire e rivendicare il merito delle condizioni di vantaggio che la raffineria ha procurato alla Sardegna – a Sarroch e dintorni prima di tutto – da ogni i(ni)mmaginabile punto di vista (dalla felicità familiare alle pari opportunità). Sfidando e oltrepassando di gran lunga il senso del ridicolo, e utilizzando una buona dose di sfrontatezza, la Saras S.p.A. compra intere pagine sui due quotidiani regionali per diffondere i suoi messaggi alla popolazione della Sardegna, forse nella speranza di ricondurla ad una ragionevole accettazione della provvidenziale attività di Saras nell’intero territorio dell’Isola (dalla raffineria di Sarroch al parco eolico di Ulassai, fino alle progettate trivellazioni per estrarre il metano in sostituzione del gasdotto Galsi, cui la Saras si era opposta per ovvi motivi e con facile successo. Qualcuno ci spiegherà, un giorno, le vere ragioni della dismissione di quel progetto).

Siamo dunque costretti a ribadire un fatto oggettivo e piuttosto elementare, cioè che la presenza di una delle più grandi raffinerie d’Europa non è classificabile tra le fortune che possono capitare ad un territorio, semmai è una di quelle disgrazie che un territorio povero e purtroppo subalterno ha molte probabilità di subire, e in parte di procurarsi da solo. La fortuna è altra cosa e si riconosce con facilità, senza correre il rischio di sbagliare: è fortuna, per esempio, quella capitata a Ivrea con Olivetti, ad Alba con Ferrero, ad Agordo con Del Vecchio (Luxottica), ma anche a Casette d’Ete, piccola frazione del Comune di Sant’Elpidio a Mare, nelle Marche, che ospita il principale stabilimento calzaturiero del gruppo Tod’s. Certo non è solo questione di fortuna, ci vuole anche un contesto produttivo accogliente e soprattutto istituzioni attente a scegliere gli insediamenti da ospitare.

Per le amministrazioni comunali che beneficiano della munificenza di una grande industria che deturpa il paesaggio, inquina l’ambiente e danneggia la salute ma finanzia la creazione di giardini, le ristrutturazioni di edifici pubblici, abbellimenti urbani, squadre sportive (con abbondanti dotazioni di defibrillatori) e altro ancora, non si può considerare comunque un colpo di fortuna ospitare un impianto ad elevato impatto come quello di una raffineria tra le più grandi d’Europa. Neppure se crea migliaia di posti di lavoro. Non è un colpo di fortuna per il Comune di Sarroch come non è stato un colpo di fortuna per il Comune di Portoscuso ospitare Alcoa, Eurallumina e altre industrie nel polo di Portovesme, a così poca distanza dall’abitato.

La Saras ha sempre mostrato irritazione per gli interventi esterni di valutazione dei danni all’ambiente e alla salute e la divulgazione dei risultati, sentendo come un’offesa le legittime e giustificate preoccupazioni delle comunità, supportate da rilevazioni e analisi scientifiche rigorose. Dopo le recenti manifestazioni pubbliche organizzate contro il progetto di ricerca ed estrazione di gas metano nell’Oristanese e nel Medio Campidano, l’irritazione della Saras è sfociata in un evidente nervosismo, che traspare chiaramente dai toni sprezzanti usati nella campagna di comunicazione rivolta all’opinione pubblica sarda, al punto che ci si chiede se si siano resi conto di suscitare diffidenza e fastidio assai più che apprezzamento. Sarebbe davvero interessante vedere l’effetto che farebbe la propaganda Saras se fosse pubblicata sui principali quotidiani nazionali (compresa la puntata dal titolo “Grazie Francesco”, ma anche quella del “Bla Bla Bla”, rivelatrice di un notevole tasso di stizza del comunicatore).

La questione cruciale non è mettere in dubbio la corretta applicazione delle norme da parte della Saras e il rispetto dei limiti che le leggi impongono per le emissioni nocive, ma considerare l’effetto cumulato di tali emissioni nel territorio (mare, terra, aria) e nel tempo (50 anni), e interrogarsi sull’ampiezza e persistenza dei danni prodotti, oltre che scongiurare il rischio di ulteriori danni in altre zone dell’Isola. La politica discute troppo poco e decide ancora meno sulle regole che occorrerebbe darsi per ospitare impianti industriali e concordare le condizioni di dismissione; tuttavia è plausibile e auspicabile che il tempo massimo di tolleranza di una presenza industriale di grave impatto sull’ambiente e sulla salute possa essere deciso non dall’industria o dal mercato ma da un governo regionale o nazionale. Che altro vuol dire “governare”?

Lilli Pruna

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