La guerra tra operai e ambientalisti è una guerra persa da entrambe le parti

Il presidio degli operai dell’Eurallumina a Roma continua anche dopo l’incontro dell’altro giorno con Matteo Renzi. Martedì li abbiamo incontrati davanti a Palazzo Montecitorio, nell’area sottostante l’obelisco egizio, il punto dove di solito sostano i manifestanti. Accanto a loro c’era infatti un altro presidio, organizzato da un sindacato di polizia. La gente spesso si fermava, scambiava due parole. Gli operai distribuivano un volantino “stampato interamente a nostre spese”, come sottolineava Antonello Pirotto, il più famoso tra loro: molti ricordano ancora quando nel 2013, durante una puntata di Servizio Pubblico, zittì l’ex ministro leghista Roberto Castelli con un sonoro: “Non rompere i c..”.
Non che Pirotto sia più “arrabbiato” degli altri. Semplicemente, per carattere, manifesta la sua preoccupazione per il futuro in modo più esplicito. In questi anni di battaglie ha acquisito una buona conoscenza dei meccanismi dell’informazione, di cui non a torto diffida. Per esempio, al momento del commiato, si è sentito in dovere di rivolgere un invito al cronista: “Per favore, niente retorica sui poveri operai, il loro dolore, gli elmetti in testa, la Sardegna lontana…”

La ragione dell’irritazione di Pirotto e dei suoi colleghi è negli articoli che – attraverso argomenti di tipo ambientalista – creano in questi “giorni cruciali”, come li definiscono, un clima che potrebbe ostacolare la ripresa della produzione. Anche quello che Sardinia Post ha pubblicato l’altro giorno sintetizzando le risultanze della perizia realizzata dal professore del Politecnico di Torino Mario Manassero su incarico del pubblico ministero.

In generale agli operai Eurallumina non piacciono gli articoli, le dichiarazioni, le prese di posizione, che li inquadrano nella categoria di quei lavoratori che, dovendo scegliere tra il rischio di danni ambientali e la certezza di perdere il lavoro, accettano di mettere in pericolo la salute. Trovano questo sospetto grave e infamante. Sottolineano che sono i primi a essere interessati a condizioni di lavoro sane: per se stessi e per i loro familiari che vivono a poca distanza dalla fabbrica.

Il volantino è dedicato proprio a questo tema. Sotto l’immagine dell’impianto industriale e la scritta “Eurallumina deve riaprire”, ecco quattro “sì”: al lavoro, allo sviluppo del territorio, al rispetto della salute e dell’ambiente, alla convivenza tra salute, ambiente e lavoro. E, infine, un grande “Basta con il no a tutto!”. Sul retro, una lista di “dieci buone ragioni” per la ripartenza di Eurallumina dove gli argomenti sulla sicurezza dei nuovi impianti e delle nuove tecnologie si intrecciano con i dati economici sull’occupazione: con l’organico che passa da 293 a 357 unità, e con i lavoratori dell’indotto (mense, trasporti, pulizie, servizi, fornitori, attività commerciali e ricettive a Portoscuso e nell’intera area): “Si può affermare – scrivono – che ogni posto di lavoro produce e coinvolge oltre 1500 occupati che, sommati ai rispettivi nuclei familiari, assumono numeri imponenti”.

Pirotto e i colleghi chiedono in definitiva che le loro posizioni vengano esposte con chiarezza e che le questioni dell’Eurallumina – dagli aspetti ambientali a quelli occupazionali – vengano affrontate in modo oggettivo. Affermano che fino a ora non è stato fatto. Vedono, in certe posizioni ambientaliste, finalità diverse (ricerca di visibilità, progetti politici personali, ambizioni risarcitorie) che gliele rendono sospette.

Certo è sorprendente che un problema che si fonda su dati oggettivi venga affrontato in questo clima di reciproche diffidenze. Presenti anche nel fronte opposto. Diffidenze e sospetti che, a volte, portano a non distinguere le responsabilità dei dirigenti sotto processo da quelle dei lavoratori preoccupati del loro futuro. O paiono mettere la compatibilità sociale in un cantuccio, trascurando il fatto che le proposte alternative deve tenere conto delle risorse a disposizione, dei tempi di attuazione e anche della durata della vita, e della vita lavorativa, delle persone.

È molto importante se non decisivo – non solo per il caso Eurallumina, ma in generale per questo genere di problematiche – arrivare, almeno nelle modalità del confronto, a un linguaggio comune. Accettando da una parte l’idea che ai dati scientifici si deve rispondere con argomenti scientifici. E che se si può anche ragionare sulla tempistica della diffusione di una perizia, e la si può perfino trovare sospetta e strumentale, ma che il problema fondamentale di un’analisi è la correttezza dei dati: se un dato corretto viene diffuso in un momento “inopportuno” resta un dato corretto. Dall’altra parte (quella che gli operai definiscono “del no a tutto”) sarebbe importante chiarire il punto di vista. Per esempio, se si ritiene che alcune produzioni industriali siano in quanto tali incompatibili con l’ambiente, conviene affermarlo subito, argomentandolo – e indicando alternative praticabili – anziché procedere attraverso uno stillicidio di no.

Da parte nostra, faremo del nostro meglio perché questo confronto avvenga, in modo che tutti i cittadini possano farsi un’idea precisa e formarsi un’opinione. La mancanza di dialogo tra chi difende il lavoro e chi difende l’ambiente è una sconfitta per entrambi.

G.M.B.

 

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