La catastrofe del centrosinistra non deve essere la morte della Costituzione e dell’Europa

Se queste elezioni fossero state – ma per fortuna non lo erano – un referendum sull’Europa, dovremmo riconoscere serenamente che in Italia – e ancor più in Sardegna – gli ideali europei non hanno più la maggioranza. E non ce l’hanno più nemmeno alcuni dei principi e valori fondamentali che dell’idea di Europa sono stati, a partire dal dopoguerra, complemento e corollario. Il combinato disposto del trionfo del Movimento 5 stelle e del successo della Lega di Salvini nell’ambito della coalizione di centrodestra ci restituisce un Paese nel quale, in astratto, esiste una maggioranza politica favorevole all’uscita dall’Unione (almeno dall’Unione con le sue fondamentali regoli attuali). Ci dice anche che quel che restava dell’antico “arco costituzionale”, cioè i partiti che si richiamavano in modo diretto o indiretto alle forze politiche che scrissero la carta fondamentale, è diventato una forze minoritaria, anche sommando con larghezza tutto ciò che abbiamo a disposizione, da sinistra a destra. Ci dice, infine, che questa tsunami non ha solo travolto le forze di governo, o le forze tradizionali che nell’ultimo quinquennio sono state all’opposizione (come dimostra il sorpasso della Lega su Forza Italia) ma anche quei partiti e quelle coalizioni che, da un punto di vista avvertito comunque come “vecchio”, proponevano un programma radicalmente innovativo rispetto a quello dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni. In campo nazionale, oltre che sardo, Liberi e uguali e nell’Isola il cartello delle forze indipendentiste. Per il centrosinistra, per il Partito democratico e per le forze di sinistra, il risultato è più che negativo. È catastrofico. È la bocciatura di un’intera classe dirigente che in questi anni – come se fosse convinta di aver conquistato per sempre la maggioranza del Paese – si è dilaniata. E che anche davanti a questa prova elettorale – che poteva essere l’occasione per proporre agli elettori l’embrione di un rinnovamento – ha pensato soprattutto a salvare se stessa e le proprie poltrone.

Vogliamo infatti poter pensare – e fortunatamente ci sono molti elementi per farlo – che questo in questo risultato la componente di sfiducia verso la classe politica sia stata la vera causa determinante. Che, cioè, non siano stati colpiti i principi fondamentali, i valori costituzionali, ma sia stata soprattutto punita l’incapacità di difenderli con coerenza e di rappresentarli perché l’esercizio dell’attività di governo è stata avvertita da una parte maggioritaria della popolazione come puro esercizio di potere e come conservazione dei privilegi. Poco importa che esistano molti argomenti per definire ingenerosa questa valutazione. L’elenco delle “cose importanti” fatte in questi anni, e proposto reiteratamente dal Pd nell’ultima fase della campagna elettorale, era corretto e anche ben argomentato. Ma non ha convinto. Di certo in questo risultato le feroci lotte intestine, i personalismi, hanno avuto un peso. E questo solo fatto dovrebbe suggerire non solo a Matteo Renzi un deciso passo indietro. Prima della ricostruzione è sempre opportuno rimuovere le macerie.

G.M.B.

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