La Bper sta per diventare una Spa. E il Banco di Sardegna si gioca il suo ruolo futuro

Il conto alla rovescia per la trasformazione in società per azioni della Banca Popolare dell’Emilia e Romagna (Bper) è ormai iniziato. E, col passaggio alla Spa, si dovranno verificare quali effetti, a cascata, si avranno sul Banco di Sardegna, in dipendenza dell’atteggiamento che assumerà la Fondazione sarda (proprietaria del 49 per cento del Banco e di un 3 per cento del capitale Bper) in questa circostanza.
Pare infatti certo che l’assemblea dei soci Bper, convocata per il 26 novembre prossimo, approverà la trasformazione in Società per azioni. Da quella data in poi si dovrà chiarire quale sarà il gruppo che riuscirà a coagulare stabilmente il 15-20 per cento del capitale necessario per mantenerne il controllo e deciderne le strategie future: sia in termini di possibili fusioni con altre popolari (nel mirino ci sarebbero le due valtellinesi) che di probabili cessioni di attuali assets, come quello, ritenuto eventuale, della partecipazione di controllo del Banco di Sardegna, con lo scopo di fare cassa e di attutire così il peso degli oltre 7 miliardi di crediti in sofferenza.

Quest’informazione, circolata negli ultimi giorni negli ambienti modenesi, viene attribuita all’associazione “Bper Valori e Valore”, costituitasi una decina di mesi or sono tra una ventina di imprenditori locali e che oggi sarebbe giunta a controllare circa il 7-8 per cento del capitale della banca. Con l’obiettivo di raggiungere entro novembre quel 15 per cento, ritenuto la soglia minima per assicurarsene il controllo e per mantenerne il radicamento nell’economia emiliana.

Queste notizie, sufficientemente attendibili, tra l’altro riprese dalla grande stampa nazionale, hanno formato oggetto di esame e di riflessione da parte degli amici che, sotto il nome di Amsicora, si sono assunti il compito di “vigilare” sulle sorti, divenute sempre più complicate, del Banco di Sardegna. E di salvaguardarne in qualche modo il suo ruolo “sardo”. Compito divenuto sempre più difficile, proprio perché i suoi valori patrimoniali e le sue capacità operative sono stati pian piano “fagocitati” dai banchieri modenesi, senza opposizione alcuna – o, forse, con un’acquiescenza passiva – da parte della Fondazione sarda, che pur ne controlla il 49 per cento del capitale. Vae aggiunto che sull’argomento si è innalzata in Sardegna una fitta ed impenetrabile cortina di silenzi, nonostante il notevole interesse “pubblico” d’un argomento che vede impegnati non poco denaro assolutamente “pubblico”, divenuto di proprietà dei sardi ed affidato alla gestione della Fondazione bancaria a seguito della “famosa” legge Amato sulla privatizzazione delle banche pubbliche.

L’argomento è divenuto ora ancor più importante (sempre per il suo indubitabile “interesse pubblico”) giacché la Fondazione sarda, che detiene anche circa il 3 per cento della Bper, è divenuta assai importante per quanti sono interessati al raggiungimento della quota di controllo della nuova Spa.
Ora, per l’approfondimento effettuato attraverso nostre fonti sufficientemente affidabili, due sarebbero le opzioni al vaglio della Fondazione sarda:

– la prima riguarderebbe l’intesa con l’associazione degli imprenditori emiliani, apportando la propria quota di capitale per costituire il gruppo di controllo della nuova “Bper spa”, con la promessa d’ottenere più potere sulle attività creditizie a favore dell’economia sarda. Su questa proposta si sarebbe mosso anche l’attuale Ceo della Bper, Alessandro Vandelli, in occasione di diversi recenti incontri con il presidente della Fondazione;

– la seconda farebbe riferimento ad una sorta di gentlemen’s agreement stipulato mesi fa con un prestigioso fondo d’investimento americano – la Boa Merril Lynch (di cui si è già avuto modo di scriverne) – in possesso ad oggi, direttamente od indirettamente, attorno al 10 per cento circa del capitale Bper. L’accordo avrebbe previsto l’impegno a dover stabilire, insieme, le mosse per arrivare al controllo della Spa, nell’intento (che taluno reputa però non semplice) di “rilevarne” la partecipazione nel Banco di Sardegna, rendendolo nuovamente autonomo. Promotore di questo ne sarebbe stato il dottor Marco Morelli, allora a capo della Merril Lynch Italia, ed ora non più in quanto divenuto numero uno del Monte Paschi. Sarebbe stato lui, a quanto se ne sa, l’interlocutore privilegiato del presidente Cabras.

I silenzi con cui la Fondazione ha da sempre osservato, nella gestione del suo rapporto con la Bper, le vicende del Banco di Sardegna (ricordate il caso-Sardaleasing?) non consentono di sapere se siano queste due, o solo queste due, le opzioni in campo a cui aggiungere il proprio 3 per cento di azioni della banca modenese. D’altra parte gran parte della stampa sarda, con in prima linea il suo maggior quotidiano, s’è sempre disinteressata della questione, limitandosi a pubblicare quasi sempre soltanto le veline diramate dagli uffici modenesi della Bper. Come se la persistente e continua caduta di prestigio, di autonomia e di incidenza sul mercato del Banco di Sardegna (un tempo definito “la grande banca dei sardi”) non avesse interesse alcuno per l’opinione pubblica sarda. E non avesse un peso sulle sorti dell’economia isolana. In effetti, molto più importanza è stata data alla vicenda del “pendolino”, alle origini anagrafiche di un manager della sanità e al mancato completamento d’una strada provinciale…

Nell’approfondimento compiuto, anche attraverso alcune interviste interne alla banca – che restano anonime per evidenti motivi – si sono messi a fuoco alcuni fatti.

Primo: che il Banco viene privato giorno dopo giorno di ogni capacità autonoma, dato che ogni decisione (in fatto di crediti, di investimenti o di qualsivoglia altra attività creditizia) deve ottenere il preventivo assenso di Modena. La stessa politica del personale (le assunzioni, le promozioni, i trasferimenti, ecc.) è ora diretta dal management Bper.

Secondo: che il Banco di Sardegna non sembra più – almeno dal punto di vista operativo – una “vera” banca. I suoi servizi essenziali sono in mano alla Bper: dal sistema informativo all’ispettorato alla determinazione dei tassi al controllo di gestione ed alla selezione della clientela.Che ne sono, per comune valutazione, il vero cuore dell’operatività e dell’identità di una vera banca. Con il risultato che il Banco ha perso, quasi completamente, quello che era stato fin dal 1955 il suo fattore critico di successo: la vicinanza  alla complessa realtà sarda, la capacità di comprendere le sue necessità e le sue specificità. E’ stato questo che ne ha fatto – per numero di clienti, per crediti erogati e per risparmi raccolti – la “prima banca” dell’isola.

Terzo: che si sono perse troppe posizioni sul mercato, lasciando ad altri istituti importanti spazi di crescita: non si è più leader regionali nel credito fondiario ed in quello per l’agricoltura, mentre negli spazi possibili nel sostenere l’internazionalizzazione delle imprese, nel finanziare gli investimenti a medio e lungo termine e nell’utilizzare delle leggi d’incentivazione, si è sopravanzati da quelle banche “nazionali” molto più aggressive e preparate. I primati conseguiti nella “Era Giagu” fanno parte ormai di un passato leggendario, è uno dei commenti più frequenti.

Quarto: che un eventuale acquirente del Banco di Sardegna non si troverebbe in mano una banca, ma un insieme di sportelli operanti nell’interesse e in armonia con gli intendimenti di una banca “altra”, esterna in tutto e per tutto all’Isola. Tra l’altro il valore, nei 16 anni di “cura Bper”, si è dimezzato. Cioè, per dirla con le parole di un intervistato, il Banco è stato privato da una parte importante del patrimonio oltre che di una propria cultura e di una specifica identità.

Quanto abbiamo appena detto può anche essere utilizzato come un “promemoria” perché la Fondazione ci rifletta sopra, e soprattutto perché possa utilizzare il suo 49 per cento nel capitale del Banco non come una rendita ereditaria (comeè  avvenuto nel passato), ma come uno strumento attivo per promuovere una politica del credito che sia coerente con le esigenze e le peculiarità dell’economia sarda (e nella difesa del radicamento territoriale della banca). Perché il Banco di Sardegna ritorni ad essere “interno” all’economia dell’isola.

Questo nuovo atteggiamento, se attuato, può essere un benemerito compito “sociale” assai importante per la comunità e l’economia dell’Isola. Alla Fondazione dovrebbe essere riconosciuto un merito importante. Ma perché questo impegno certamente non facile venga portato avanti è necessario anche un responsabile aiuto da parte della politica regionale. Essa infatti deve, si sottolinea deve, ritenere la presenza di una banca interna all’economia locale uno strumento indispensabile per poter ridare ossigeno a una Sardegna dal fiato sempre più corto ed in perenne debito proprio di ossigeno creditizio.

Occorre – e lo ripetiamo ancora una volta – che il Governatore Pigliaru, nella sua responsabilità di Presidente della Sardegna, affronti con decisione questo problema, rendendosi conto che è in gioco l’interesse pubblico (e non una “faccenda” tra privati), giacché i portatori d’interesse, gli autentici ed esclusivi stakeholders della Fondazione, non sono i suoi dirigenti pro tempore, ma tutti, e si sottolinea tutti, i sardi:  giovani e vecchi, donne e uomini, elettori di sinistra, di destra o di centro od assenteisti delle urne. A essi si deve dare una risposta politica alla domanda che ancora una volta proponiamo: perché non viene fatto niente, da chi deve e può grazie ad un mandato popolare, per riportare la “sardità” al Banco, e si è finora permesso (e tollerato) che degli abili agenti furisteris ne abbiano effettuato, indisturbati, l’opera di spoliazione?

Amsicora

 

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