Se la banca è territoriale rende di più. Ecco perché gli americani possono restituire il Banco ai sardi

Pubblichiamo un nuovo intervento del “Gruppo Amsicora” – che mette assieme un pool di economisti e osservatori competenti di cui la direzione di questa testata garantisce l’affidabilità – sulle vicende del Banco di Sardegna. Come sempre, lo mettiamo a disposizione delle istituzioni e delle persone interpellate. Che, se vorranno rispondere, avranno tutto lo spazio necessario.

«Per quale ragione dei Fondi d’investimento internazionali intendano occuparsi d’una modesta banca locale come il Banco di Sardegna?»: è questa la domanda che in tanti si pongono davanti alle notizie sull’intervento finanziario di colossi della galassia BlackRock, come la Bank of America-Merril Lynch & C. nel sistema bancario sardo. In effetti la questione può suscitare notevole perplessità, ed anche delle ragionevoli incredulità, se non si ha chiaro il ruolo svolto da questi Investment Funds nelle intermediazioni finanziarie, specialmente negli ultimi anni, cioè dal momento in cui il risparmio privato non ha più trovato favorevole allocazione nei titoli del debito pubblico.

Partiamo dalla loro mission che può  – in estrema sintesi – riassumersi in questi punti: 1) di raccogliere capitali dai risparmiatori nei diversi mercati internazionali; 2) investirli in attività ritenute suscettibili di crescita, intervenendo nella gestione per migliorarne le performance, in modo (3) da assicurare, quindi, ai capitali dei risparmiatori, dei rendimenti sempre più allettanti.

In Italia, a partire da una ventina d’anni, l’interesse dei Fondi d’investimento si è rivolto principalmente al sistema bancario (o di gran parte di esso), per via di due ragioni: il peso esorbitante dei crediti incagliati (stimato su di un valore percentualmente doppio della media europea e per  la scarsa redditività del sistema (indicata tra il 2 ed il 4,5 per cento): molto al di sotto della media europea e pari a circa la metà di quella del sistema bancario internazionale.

Oggi i Fondi hanno partecipazioni importanti – e spesso determinanti – nelle principali banche nazionali (come Intesa-San Paolo e Unicredit) assicurandone stabilità nelle governance e negli equilibri patrimoniali, oltre a essere stati propiziatori della fusione tra due grandi banche popolari quali Banco Popolare e Banca Popolare di Milano avvenuta a gennaio di quest’anno, con la nascita della SpA Banco BPM che, di fatto, è oggi la terza banca del Paese con oltre 5 milioni di clienti. Ne hanno affidato la guida al cinquantenne Giuseppe Castagna, un brillante banchiere con un passato da risanatore del Banco di Napoli e da abile direttore generale di Intesa-San Paolo. Sono ora tre banche sane, tutte molto competitive, e capaci di sostenere efficacemente l’economia.

Questa lunga premessa aiuta a iniziare a comprendere come l’operazione Banca popolare dell’Emilia Romagna-Banco di Sardegna – che abbiamo illustrato nel nostro precedente intervento – possa avere una sua effettiva validità, e non apparire soltanto come il sogno primaverile di qualche visionario. Anche se, per quel che si può capire, potrebbero essere state anche le pressioni di qualche gruppo di loro clienti ad orientare in questo caso l’intervento di quei finanzieri.

La banca modenese – è importante averlo presente – era da tempo sotto osservazione da parte dei Fondi che la giudicavano poco performante e condizionata nella redditività dal trapasso, risultato assai affaticante e complesso, da banca federale a banca unica, attraverso l’incorporazione di quasi una decina di piccoli istituti creditizi, sparsi lungo lo Stivale. Un’osservazione che ha portato i Fondi ad investire parecchio in azioni della BPER: anche perché la caduta del titolo, che negli ultimi 7 anni avrebbe perso circa il 50 per cento del suo valore (oggi quota attorno ai 5 euro), era servita a continue svendite. Attualmente, come ha riferito Milano Finanza, il complesso dei fondi d’investimento controllerebbe oltre il 40 per cento del capitale della BPER.

In questa attività di osservazione, con la BPER è passato sotto la lente degli esperti finanziari anche il  Banco di Sardegna. Operando insieme – sarebbe stata questa la conclusione dell’analisi – le due banche si sarebbero condizionate vicendevolmente in modo negativo. In particolare, a causa della “cura BPER” la banca sarda avrebbe perso importanti posizioni di mercato e avrebbe anche sofferto parecchio per via degli invasivi e persistenti interventi della capogruppo. Con una gestione della liquidità effettuata da Modena con una sua logica tutta interna e con utili di bilancio provenienti quasi esclusivamente da operazioni patrimoniali o immobiliari, al di fuori cioè dell’intermediazione bancaria. In parole povere, dopo aver esaminato questa storia e questi numeri, i Fondi sono arrivati alla conclusione che una separazione sarebbe salutare sia per il Banco di Sardegna, sia per la stessa BPER perché riacquisterebbero appieno la loro integrazione territoriale, l’una nell’Isola sarda e l’altra nelle regioni del Centro-Nord.

Questa separazione, per quanto si è potuto apprendere, dovrebbe prevedere: a) l’acquisto da parte dei Fondi del 51 per cento del capitale della banca sarda oggi in possesso della BPER; b) il concambio del 30 per cento del capitale del Banco di Sardegna, posseduto dalla Fondazione, con azioni BPER quotate, da parte dei Fondi; c)  la quotazione in Borsa del capitale dell’istituto sardo, lasciando al mercato, come flottante, una percentuale di azioni attorno al 25-30 per cento; d) l’entrata nel capitale di un azionista-banchiere, che potrebbe essere la stessa BPER, o – ancor meglio – il Banco PBM spa.

Ora, sempre secondo il dossier di quegli analisti, il valore attuale del Banco di Sardegna, stimato nel bilancio 2016 in poco più di un miliardo di euro (il capitale nominale è di  155,2 milioni, costituito da 131,9 milioni di euro in azioni ordinarie, oltre a 6,6 milioni in azioni di risparmio quotate, per un valore complessivo di 19,8 milioni, e da 1,1 milioni in azioni privilegiate del valore complessivo di 3,5 milioni di euro), non varrebbe però più di 300/320 milioni di euro. Cioè un terzo circa della stima “interna”.
Ridandogli piena autonomia operativa, in pochi anni si stimerebbe possibile che il nuovo corso possa consentire di riportare il Banco di Sardegna a moltiplicare per tre il valore delle azioni ordinarie (oggi valutabili in 6,5 di euro) e a conseguire una redditività da standard europeo (ben oltre lo “zero virgola” registrato in questi ultimi anni).

Questo è il quadro che gli uomini della Merrill Lynch avrebbero valutato in queste ultime settimane e su cui avrebbero costruito il loro piano d’azione. Che troverebbe il suo punto di forza nel rafforzamento del management (con l’inserimento di esperti banchieri così come effettuato nella BPM), nell’offerta di prodotti competitivi sul mercato regionale e nell’integrazione sempre più intensa con l’economia isolana.

È poi difficile stabilire oggi se i risultati previsti saranno poi raggiunti, quel che porta noi di Amsicora ad apprezzare condividere il progetto è il ritorno del Banco di Sardegna al ruolo di banca legata strettamente e patrimonialmente al territorio sardo (come la vollero i suoi fondatori e la realizzarono i suoi banchieri, da Oreste Pieroni ad Angelo Giagu), e non più dipendenza succube di interessi e di volontà esterni. In sostanza si compirebbe l’auspicio che l’autorevole economista Gianni Toniolo  formulò nel 1995 alla fine della sua “storia” del Banco di Sardegna. Vale la pena di rileggerlo assieme: «Perché la banca possa ben servire l’economia isolana occorre che abbia un compimento coerente con la storia della Sardegna, facendo sì che il suo controllo non esca dall’Isola. Sarebbe così pienamente realizzato il progetto di Cavour: dare alla Sardegna una grande, efficiente, solida banca privata. Vorranno i sardi questa volta  sottoscrivere il capitale della propria banca?». Purtroppo a quell’invito e a quell’auspicio ci si potrebbe arrivare con un ventennio e più di ritardo, ma “non è mai troppo tardi!”.

Ora, al di là delle tante dicerie che circolano, gli esempi positivi della Banca di Arborea e della Banca di Cagliari – protagoniste in questi anni di interessanti performance – tendono a dimostrare che anche i sardi possono essere dei banchieri avveduti, prudenti e capaci. Confermando così che le banche che usano la stessa lingua dei loro clienti sono le più adatte a svolgere il loro servizio a favore e a sostegno dell’economia locale.

Amsicora 

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