In Sardegna le scorie nucleari? Molto improbabile. Ecco perché

Naturalmente bisogna essere sempre preparati al peggio. Il pessimismo dell’intelligenza, diceva Antonio Gramsci. Ma tra i pericoli che incombono sulla Sardegna, la realizzazione nel suo territorio del deposito nazionale per le scorie nucleari non è certo il primo. Al contrario, si tratta di una possibilità molto remota. Per due motivi.

Il primo lo si ricava dalla lettura dell’elenco completo dei “requisiti di esclusione” diffusi nei giorni scorsi dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Sono quindici e dicono che il deposito nazionale delle scorie nucleari non può essere costruito:: 1) In aree e isole vulcaniche; 2) in zone a elevato rischio sismico, 3) in territori colpiti da fen0meni di fagliazione; 4) in aree a rischio frane e alluvioni, 5) laddove esistono depositi alluvionali a forte rischio idraulico; 6) a un’altitudine superiore a 700 metri sul livello del mare; 7) sui versanti con pendenza superiore al 10 per cento; 8) a meno di 5 chilometri dalla costa e di 20 metri sul livello del mare; 9) nelle aree interessate da sinkholes, sprofondamenti improvvisi; 10) nei pressi di sorgenti e altri corsi d’acqua sotterranei; 11) nei parchi e nelle aree naturali protette; 12) in zone troppo vicine a centri abitati; 13, a meno di un chilometro da autostrade e ferrovie; 14) nei pressi di miniere e giacimenti energetici; 15) vicino a dighe, aeroporti, basi militari e obiettivi sensibili.

Incrociando tutti questi elementi è difficile individuare un luogo della Sardegna dove non sia presente almeno uno dei criteri di esclusione. C’è un solo “criterio di inclusione”, cioè il fatto che siamo una regione a basso rischio sismico.

Quando nel 2003 si parlò per la prima volta della possibilità del trasferimento delle scorie nucleari nell’Isola (e si scatenò un’autentica rivolta) furono individuate aree come quelle di Villaputzu e di Teulada (ne parla un’interrogazione parlamentare presentata all’epoca da un deputato di An, Francesco Onnis) per via della presenza di insediamenti militari. Ma i criteri dell’Ispra (vedi il punto 15) ora escludono espressamente questi siti. Così come escludono espressamente altre aree sarde che un tempo erano state indicate come potenzialmente idonee al deposito, quelle minerarie (vedi punto 14). Se poi si aggiunge che l’esclusione riguarda le aree a rischio idrogeologico, quelle protette, quelle che si trovano sopra i 700 metri di altitudine, è anche difficile immaginare una collocazione all’interno dell’Isola (che l’ultima a essere stata ipotizzata da alcuni).

Poi ci sono i motivi di ordine pubblico e di opportunità politica in una regione dove è forte il sentimento indipendentista. E’ ben chiaro a tutti – anche sulla scorta di quanto accadde nel 2003 quando le forze politiche sarde unanimemente si opposero alla sola ipotesi della realizzazione del deposito – che a tornare sulla questione si correrebbe davvero il rischio di una secessione.

E’ vero: siamo in un Paese dove le decisioni folli non sono mai del tutto escluse. Abbiamo avuto vent’anni di fascismo e abbiamo eletto presidente del consiglio un pluriindagato ora ai servizi sociali. Quindi, certo, stiamo allerta. Ma stiamo ancora più allerta contro i pericoli veri e sempre presenti. A partire da quello della speculazione edilizia e della cementificazione del territorio.

G.M.B.

 

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