Il massacro mediatico della Barracciu e il ruolo dei politici

Francesca Barracciu corre seriamente il rischio – per un complesso di circostanze politiche e di dinamiche mediatiche – di diventare suo malgrado l’icona nazionale delle contraddizioni del Partito democratico e della “vecchia politica”. Suggeriscono questa eventualità l’insistenza dei Tg nazionali sulla sua immagine accostata a quella di Antonio Gentile, alcuni commenti autorevoli (come quello di Gianni Del Vecchio, vicedirettore dell’Huffington Post)  e, ovviamente,  la notizia dell’intenzione del Movimento 5 Stelle di presentare una mozione di sfiducia. Un atto che, se fosse portato avanti anche dopo il passo indietro di Gentile, metterebbe la sola Barracciu, senza alcuno schermo, nel mirino del Movimento 5 Stelle.

Attorno alla neosottosegretaria si è scatenata una polemica durissima, innescata da una vicenda che non la riguarda in alcun modo. Appunto quella dell’alfaniano Antonio Gentile, accusato di aver operato attivamente per impedire l’uscita di un quotidiano calabrese che dava notizia di un’indagine giudiziaria a carico di suo figlio. Una bruttissima storia di prepotenza e prevaricazione col finale di un quotidiano che non va in edicola per un provvidenziale “guasto delle rotative”. Una storiella dal sapore sudamericano.

Com’era ovvio, alla richiesta di dimissioni di Gentile, sostenuta da una parte considerevole del Pd, gli amici del sottosegretario calabrese (ma non solo loro) hanno risposto facendo notare che a carico di Gentile non c’è alcuna indagine. Mentre a carico di un altro sottosegretario, che è del Pd e si chiama Francesca Barracciu, ce n’è una per peculato. E dunque, dicono i sostenitori di Gentile, per quale motivo lui si e lei no? Domanda che sarà rafforzata dalle dimissioni del sottosegretario censore.

Quanto si arriva a questo punto conviene chiudere il discorso. Non perché non ci siano argomenti ma, al contrario, perché ce ne sono troppi. Si può sostenere (è questo il nostro parere) che l’atto attribuito a Gentile è di una gravità tale da suggerire non solo l’uscita dal governo ma anche da quella del Parlamento. Si può sostenere che la Barracciu è indagata assieme a tutto il suo gruppo consiliare e che la questione dell’uso dei fondi nasce da norme ambigue e non sempre da un uso privatistico del denaro pubblico. Si può continuare per ore.

Il problema è un altro. E’ l’idea che si ha del ruolo del politico e della politica. E’ stabilire se si considera la politica un servizio o una carriera, una professione. Se, come dicevano i nostri padri, si ritiene che a grandi onori (e stipendi) debbano corrispondere anche grandi oneri.

In altre parole si tratta di decidere se il politico va tutelato (e deve autotutelarsi) come un lavoratore dipendente che davanti a una incolpazione ha tutto il diritto di resistere utilizzando gli strumenti che la legge gli offre o se, invece, vada considerato come, per esempio, un calciatore di fama che se è vittima di un infortunio, anche senza averne alcuna colpa, resta in panchina perché se scendesse in campo zoppicante danneggerebbe la sua squadra e l’intero spettacolo.

Il problema di Francesca Barracciu – fin dal principio della vicenda giudiziaria – è esattamente questo. E, d’altra parte, è stato affrontato proprio  in questi termini in Sardegna da quanti fin dal primo momento hanno suggerito “per motivi di opportunità” il passo indietro, avvenuto poi tardivamente e in modo traumatico.

Quando si parla di “motivi di opportunità” si intende dire che la questione della colpevolezza o dell’innocenza non si pone. E che anche le persone convinte della totale innocenza della Barracciu (e chi scrive è tra queste) possono ritenere opportuno e doveroso il ‘passo indietro’. Onori e oneri, appunto.

Purtroppo questa prospettiva non è stata assunta in modo coerente. E va detto che, fino alla nomina dei sottosegretari, questa incoerenza è andata sempre a sfavore della Barracciu. La quale – quando ancora non era indagata – ha partecipato alle primarie avendo, come principale competitor, non un indagato ma addirittura un rinviato a giudizio. E poi, dopo aver fatto il passo indietro, ha visto candidare (ed eleggere) due esponenti politici indagati assieme a lei nell’inchiesta sui fondi ai gruppi.

E’  comprensibile che oggi la Barracciu si senta perfettamente legittimata a ricoprire la carica di sottosegretario. Una nomina che pare vivere un po’ come un ‘risarcimento’ . Perché ha assistito all’applicazione piena e coerente di criteri tra il risarcitorio e il compensativo nei confronti di altri. Come se la ‘questione di opportunità’ si ponesse in modo esclusivo per lei. Per questo la sua resistenza è umanamente comprensibile. Ma non lo è altrettanto che il Partito democratico affronti questi problemi attraverso aggiustamenti successivi. Facendo delle scelte per poi contraddirle. Tempestando il vestito già logoro della politica regionale e nazionale di pezze che alla fine sono peggiori dei buchi.

E’ incomprensibile soprattutto perché basta annusare l’aria per rendersi conto del livello di esasperazione cui è giunta l’opinione pubblica. E insistere con queste  prassi aggiunge problemi superflui agli enormi problemi reali (con Renzi che nella stessa giornata, deve occuparsi della guerra di Crimea e della guerra dei sottosegretari) esponendo alla fine gli apparenti beneficiari dei “risarcimenti” ad autentici massacri mediatici. Come può constatare chiunque vedendo i telegiornali e il sistematico accostamento di Francesca Barracciu ad Antonio Gentile e al peggio del familismo amorale meridionale.

Col risultato che l’eurodeputata sarda, la vincitrice delle primarie, la vicesegretaria del Pd sta subendo, in termini di immagine, una “sanzione” pesantissima. Che un proscioglimento o una sentenza di assoluzione, quando verranno, molto difficilmente potranno risarcire.

G.M.B.

 

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