Il Banco di Sardegna dall’Emilia Romagna (Bper) agli Stati Uniti d’America (Merril Lynch)?

Una “via americana” per liberare il Banco di Sardegna dalla dipendenza dalla Banca popolare dell’Emilia Romagna (Bper) ed evitarne l’incorporazione? Una “via americana” piuttosto ampia e solida visto che prende il nome della Bank of America Merrill Lynch (già Merrill Lynch & Co., Inc.), una delle banche d’investimento più importanti del mondo.

Ma prima di illustrare questa indiscrezione, che è giunta a noi di Amsicora da autorevoli fonti finanziarie milanesi, riprendiamo il filo della vicenda dalle ultime settimane e dallo sconvolgimento che si è prodotto nel mondo bancario nazionale. Uno sconvolgimento che ha accelerato il processo di trasformazione della Bper che, in procinto di diventare Spa, pare avviata a stringere intese con le due popolari valtellinesi per la costituzione di una “grande banca” del Centro-Nord. Infatti il “flirt” con la Popolare di Milano, con la prospettiva di fusione con il Banco Popolare (ipotesi data per certa dagli osservatori finanziari) pare ormai concluso.

La fusione della Bper con le popolari valtellinesi attuerebbe il disegno del suo Ceo Vandelli, da sempre propugnatore di una fusione con istituti più piccoli, con presenze territoriali non coincidenti e, quindi, più facilmente integrabili. A questa fusione potrebbe aggiungersi un concreto interesse verso la “nuova” Banca Etruria, il cui controllo è stato messo di recente sul mercato dalla Banca d’Italia. Anche quest’acquisizione risulterebbe coerente con la scelta territoriale privilegiata dal management modenese.  Non vi è dubbio come da questo disegno potrebbe far risultare disomogenea la presenza in Sardegna, con la possibilità di “fare cassa”, se si trovasse un acquirente per la cessione della quota maggioritaria di capitale detenuta nella banca sarda.

Il ragionamento che andiamo sviluppando, sia chiaro, si fonda sulla nostra preoccupazione per la salvaguardia dell’autonomia operativa e gestionale del Banco che viene sempre più sminuita, per quel che risulta, dalla supremazia del management emiliano (d’altra parte, con un direttore generale solo di facciata ed in prorogatio, commissariato – così si dice – da un vice “modenese di stretta osservanza”, incaricato di attuare le disposizioni di Vandelli, il BdS si sarebbe ridotto ad essere niente altro che una dipendenza periferica della Bper). Tutto questo benché nel capitale della banca sarda – occorre ricordarlo – ci sia una partecipazione forte, pari al 49 per cento, in mano alla Fondazione. Con quest’ultima, tra l’altro, presente anche nel capitale della Bper – frazionato in oltre 2 mila soci – con una quota di circa il 5 per cento (percentuale questa non indifferente, allorché fra breve verrà attuata la trasformazione in SpA ed eliminato il voto capitario).

In questo quadro, giunge la notizia di cui dicevamo all’inizio: la comparsa all’orizzonte della Bank of America Merril Lynch. Notizia che parla dell’esistenza di una lettera d’intenti tra la Fondazione sarda ed un “importante fondo d’investimenti americano” (anch’esso azionista di rilievo nella Bper) per stabilire una strategia unitaria nei passi che verranno intrapresi per giungere alle necessarie fusioni fra banche popolari, dopo la trasformazione in SpA. L’accordo sarebbe finalizzato alla salvaguardia dell’autonomia futura del Banco di Sardegna, evitandone l’incorporazione e, ove possibile, rilevandone la quota di capitale oggi in mani modenesi, in modo da fargli riguadagnare una piena indipendenza gestionale.

L’importante fondo americano sarebbe appunto Merrill Lynch, la cui sussidiaria italiana è molto attiva nel settore creditizio, anche perché il suo “numero 1”, Marco Morelli,  ha nel suo curriculum professionale importanti esperienze bancarie al vertice del Monte Paschi e di Intesa San Paolo. Per quel che consta alle nostre fonti milanesi sarebbe stato proprio il dottor Morelli a promuovere l’accordo con il presidente della Fondazione, prospettando la possibilità di una soluzione che rescinda i legami con la Bper, avendo la convinzione che il suo potenziale oggi soffra dalla subordinazione agli interessi, spesso conflittuali, della capogruppo, non a caso afflitta da certi pesi in sofferenze e nel quasi milione di euro in obbligazioni subordinate.

Ora, se le nostre informazioni sono esatte, l’operazione potrebbe avvenire in tre tempi nell’arco temporale, più o meno, di un triennio: nel primo la Merrill Lynch rileverebbe il 51 per cento dei modenesi, divenendo così l’azionista di maggioranza del BdS; nel secondo, la Fondazione cederebbe alla Merrill Lynch il 30 per cento del capitale detenuto, per riportarsi in linea con le prescrizioni del Governo in ordine alle partecipazioni bancarie, mentre nel terzo ed ultimo tempo, quel 30 per cento verrebbe ceduto sul mercato, preferibilmente ad istituzioni e/o risparmiatori sardi.

Al termine dell’operazione il capitale del Banco di Sardegna risulterebbe essere in mano: per il 19 alla Fondazione, per il 30 ad una platea d’azionisti, mentre la Merrill Lynch manterrebbe la maggioranza nell’intento di ridargli, con l’autonomia operativa, una leadership regionale nel campo del credito, riportando così i risultati gestionali a quelli delle sue grandi performance passate, sotto la guida di un grande banchiere come Angelo Giagu (avrebbero anche già individuato all’uopo un banchiere sardo, oggi al vertice di un importante istituto creditizio della penisola, come Ceo dei questa new age del Banco).

Quel che appare come un’incognita è la reale volontà di giungere al divorzio con la Bper. Anche perché a Modena non hanno ben compreso quale sia il reale intendimento della Fondazione, ritenendone assai altalenante la sua posizione. Dalle loro informazioni, infatti, risulterebbe che la presenza di una potente presenza nell’azionariato (come quella della Merrill Lynch) alimenti non poche diffidenze. A ciò si aggiunga che del Banco di Sardegna, e delle sue sorti, poco sembri importare nell’isola, ad iniziare da quelli politici. Ed in proposito citano il fatto che la loro decisione di modificare radicalmente l’attività della Banca di Sassari, trasformandola da banca universale a società monoprodotto, non avesse prodotto alcuna critica od opposizione dagli ambienti politici ed imprenditoriali isolani. Non avendo essi intravvisto, in questo, alcun depotenziamento della presenza creditizia locale nel mercato regionale, oggi sempre sofferente per una crescente “deregionalizzazione”.

Tutto questo avvalora la convinzione (che è poi rafforzata da una severa critica) che per i vertici della politica sarda non vi sia posto nel ritenere il credito bancario uno strumento essenziale per promuovere e sostenere lo sviluppo delle imprese e dell’economia. Ignorando così tutto quel che la storia economica sarda insegnerebbe, da Francesco Ferrara in avanti, fino ai tempi a noi più vicini delle leggi Campilli sulla costituzione del Banco di Sardegna e del CIS.

Ed è proprio quel silenzio assordante che preoccupa. Quasi che queste vicende debbano rimanere segrete e riservate, quasi fossero questioni di famiglia. Preoccupa, ripetiamo, e fa sensazione, soprattutto se lo su metta a raffronto con quanto, ad esempio, alcune Giunte regionali e Fondazioni bancarie vanno informando la loro opinione pubblica sulle nuove direzioni che si vanno prospettando per la stessa Intesa San Paolo o per Monte Paschi o per l’Etruria. In Sardegna invece di quel che avviene attorno al Banco di Sardegna appare sempre “top secret”, ed è per questo che noi di Amsicora abbiamo cercato di indagare negli ambienti finanziari d’oltretirreno, proprio per dare ai sardi – che sono poi gli azionisti unici della Fondazione – quell’informazione che viene loro negata.

La chiusura di filiali e agenzie, il dimagrimento costante degli organici, la continua perdita di tesorerie, la disattenzione sempre più marcata verso le necessità e le attese delle imprese locali, i numeri preoccupanti che traspaiono dai suoi conti economici (dove si fanno più utili con la finanza d’abord che con i crediti), sono tutti rilievi che inducono a credere che il Banco abbia bisogno di una forte cura rivitalizzante che lo sappia riproporre come “prima” banca dei sardi.

AMSICORA

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