Gli schiaffi alla miseria E gli schiaffi alle regole della democrazia

A 41 anni una pensione pari a 5100 euro mensili per aver ricoperto per vent’anni un incarico già lautamente retribuito col denaro pubblico. E’ esattamente quel che si dice “uno schiaffo alla miseria”. Uno degli innumerevoli schiaffi che da anni vengono inferti con frequenza pressoché quotidiana a milioni di cittadini. Dalle retribuzioni dei manager pubblici (solo di recente ridimensionate dal governo Renzi) agli incredibili privilegi (e stipendi) di cui hanno beneficiato, e in parte continuano a beneficiare, alcune ‘categorie protette’: dai parlamentari ai magistrati.

L’incontro tra le resistenze a privarsi di questi privilegi e una consolidata giurisprudenza che tende a proteggere i diritti acquisiti ha reso il processo di riforma molto lento. E, soprattutto, ha fatto sì che i tagli per buona parte valgano “per il futuro”. In sostanza dobbiamo abituarci all’idea – a meno di interventi legislativi che vadano a incidere sulle stesse norme costituzionali – di convivere con situazioni nello stesso tempo scandalose e legittime. Sono migliaia. E va a onore della ex presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo di averci messo la faccia, parlando pubblicamente del suo caso personale senza trincerarsi dietro il fragile argomento della difesa della privacy.

Ci auguriamo che il suo esempio venga seguito da altri. E che, contemporaneamente, tutti i percorsi del denaro pubblico vengano resi trasparenti attraverso una piena accessibilità ai dati. Sia quelli relativi alle pensioni e agli stipendi, sia quelli relativi alle consulenze, sia quelli relativi alle spese della pubblica amministrazione: dall’affitto dei locali per gli uffici, alla scelta dei fornitori. Fin dal giorno della sua nascita questo giornale – tra molte difficoltà e in solitudine pressoché totale – dà conto ai suoi lettori di questi sprechi. Alcuni addirittura surreali. Come l’acquisto, a opera del precedente assessore al Turismo della Regione sarda, di cinque capre in ferro battuto realizzate da un artista del tutto sconosciuto, ma suo compaesano, per la somma di 48mila euro. Un fatterello apparentemente marginale, ma in realtà rilevante perché la notizia, mai smentita, è stata totalmente ignorata da tutti gli organi di informazione.

Un elenco lunghissimo che non è stato facile compilare. Perché ci sono molti modi per aggirare le norme sulla trasparenza. Per esempio pubblicando formalmente i documenti sui siti istituzionali ma rendendone la ricerca difficilissima. O celando le decisioni dietro formule astruse. O anche accedendo ai soldi pubblici attraverso società dai nomi diversi dietro le quali si celano gli stessi soggetti e beneficiari.  Un sistema che si regge sullo scambio di favori: assunzioni di parenti e amici, sostegno politico, denigrazione o ‘silenziamento’ degli avversari comuni. O, addirittura, attraverso scambi diretti di utilità: con un governatore che eroga denaro pubblico a un immobiliarista-editore attraverso una pubblicità istituzionale che, demolendo una legge vigente (il Piano paesaggistico regionale), va a difendere appunto gli interessi degli immobiliaristi. E’ successo anche questo (nell’estate del 2011). Naturalmente nel silenzio totale.

E’ auspicabile che l’esempio della Lombardo venga seguito non solo dai politici, ma da tutti quanti ricevono a vario titolo denaro pubblico. In modo che i cittadini possano conoscere (e addizionare) le singole voci. Per chiarire se l’uso distorto dei soldi pubblici è stato, ed è, non solo uno “schiaffo alle miseria”, ma anche alle regole della concorrenza e della democrazia.

Infine un suggerimento (che a leggere i primi commenti è condiviso da molti lettori): chi beneficia “a causa dei meccanismi obbligati della legge” di emolumenti preclusi alla generalità dei cittadini ha un modo molto semplice per riequilibrare le cose: destinarne una parte a chi è in difficoltà.

G.M.B.

 

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