Gianluigi Piras, vittima (non innocente) del feroce “stil novo”

A leggere la sequenza dei commenti al primo post di Gianluigi Piras – quello sullo stupro – si resta di stucco. Perché, accanto a quelli di pura riprovazione, ce ne sono altri (scritti evidentemente da suoi amici, da conoscenti, comunque da persone che lo stimano) che fanno di tutto per riportare il giovane dirigente del Pd alla ragione. Lo invitano con garbo a cancellare il post, a scusarsi. Niente da fare. Piras non solo non si rende conto di aver scritto una bestialità, ma è aggressivo. Tratta da “ignoranti”  da “fascisti”  quanti lo contestano, insiste nel rivendicare quello che chiama “paradosso”.

Tutto questo per alcune ore. Fino al momento in cui interviene Francesca Barracciu con la minaccia di espulsione. A quel punto Piras ammutolisce. La superiorità gerarchica della Barracciu produce l’effetto che tutti i precedenti appelli alla ragione non hanno conseguito. Il feroce castigatore di Elena Isinbayeva  comincia a rendersi conto di aver commesso un gravissimo errore. Ma ancora non del tutto. Perché scrive un altro post nel quale si scusa, ma a metà. E insiste sul “paradosso”, sul “fraintendimento”, senza peraltro cancellare il “post dello stupro”.

Solo a metà mattina – quando è arrivata anche la condanna di Pippo Civati – Piras crolla. Totalmente. Di schianto. Come folgorato. Non solo si scusa, ma lo fa “umilmente” e si dimette da tutto: incarichi istituzionali, amministrativi, di partito. Scrive un altro post per chiarire d’essere pronto a patire tutte le conseguenze legali del suo gesto. Annuncia che tacerà molto a lungo. Fa intendere che potrebbe anche abbandonare la politica per sempre.

Una tragedia umana davanti alla quale bisogna avere rispetto. E francamente dispiace leggere ancora adesso commenti che continuano a maramaldeggiare sul cadavere politico del giovane dirigente democratico. Al quale bisogna dare atto di aver tratto tutte le conseguenze del suo sbaglio. Nel modo più netto e radicale. Non è frequente. Se lo fosse, una parte considerevole dei politici attualmente in campo sarebbe già da tempo impegnata in altre più faticose e meno remunerative attività. Lasciamo quindi Gianluigi Piras con i suoi pensieri. Con l’augurio che non si faccia tentare dagli inevitabili cattivi consiglieri che già lo esortano ad andare avanti. Piras, si fermi, come lei stesso ha detto, e dia tempo al tempo.

Ma c’è un problema generale che il “caso Piras” pone: quello del linguaggio politico. Per chiarire con una metafora adeguata al livello del confronto: a tutti può capitare di pestare una merda, ma a chi – per farsi notare – decide di camminare all’indietro facendo ogni tanto un saltello capita più facilmente di incorrere nell’infortunio. Ecco, Gianluigi Piras ci pare appartenere a questa categoria di comunicatori politici che ritengono di dover “urlare” per farsi sentire.

L’urlo è la ricerca della frase a effetto, della dichiarazione roboante, nel contenuto, ma anche nella forma. Alcune settimane fa il Pd trasmise in streaming una sua direzione regionale. Chi scrive all’epoca non conosceva Gianluigi Piras, ma non poté fare a meno di notarlo per il tono spavaldo e anche un po’ astioso del suo intervento e per le sue frequenti interruzioni dell’intervento dell’avversario interno di quel momento (si trattava di Guido Melis).

Non che l'”urlo”, la frase a effetto, la dichiarazione roboante siano estranee al normale confronto politico. Il problema nasce quando diventano il modo ordinario di comunicare. Se poi questo costume incontra i social network – che, dando una falsa percezione di anonimato, inducono ad alzare ancora di più i toni anziché a moderarli – possono verificarsi incidenti gravi. L’aspetto sorprendente è che questa retorica violenta – che semmai appartiene alla tradizione della destra – abbia ormai varcato i confini dell’appartenenza politica fino a diventare uno “stile”.

Ed è probabilmente la convinzione di seguire uno “stile” che ha impedito a Piras di rendersi subito conto dell’errore. Riteneva di agire all’interno di un canone, il canone del politico duro e puro, e si è scordato del significato delle parole e anche del proprio ruolo pubblico. Chi svolge un’attività politica non deve mai affermare di essere stato  ‘frainteso’. E se gli succede veramente, deve comunque scusarsi. Perché, rispetto al comunicatore politico, è l’ascoltatore, cioè il cittadino, il solo giudice. Se non ti fai capire, non puoi dire “cretino” a chi proprio tu hai chiamato all’ascolto.

L’altro aspetto sorprendente è che questo “stile” neofuturista spesso si accompagni alla venerazione di figure della sinistra sarda che, come Antonio Gramsci, lo consideravano del tutto estraneo alla pratica politica rivoluzionaria che è fatta di buoni argomenti e di ragionamenti coerenti. O che, come Emilio Lussu, erano capaci dell’ironia più sottile (e per questo ancor più feroce) persino nei confronti dei loro diretti aguzzini.

Quanto ad Elena Isinbayeva (anche lei ‘fraintesa’, ovviamente) forse sarebbe bastato sottolineare con pena il fatto che un’atleta e una donna di successo ha riprodotto, senza averne alcuna necessità, lo schema dell'”eroe del socialismo” che, in cambio della dacia e della Zil, incensava il regime sovietico.

Giovanni Maria Bellu

 

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