È finita la campagna elettorale peggiore della storia. Ma forse esiste un filo di speranza

Si è conclusa – finalmente, vien da dire – quella che secondo la valutazione pressoché unanime degli osservatori è stata la campagna elettorale più squallida della storia della Repubblica. Una campagna elettorale segnata da atti di violenza, dal linguaggio d’odio e, soprattutto, da premesse elettorali irrealizzabili, alla faccia dell’appello al realismo e alla concretezza lanciato dal capo dello Stato nel discorso di fine anno. Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici della Cattolica guidato da Carlo Cottarelli, sommando tutti gli “impegni” assunti dai vari schieramenti davanti agli elettori si arriva alla spaventosa cifra di mille miliardi di euro. Questo mentre il debito pubblico cresce di più 4.469 euro al secondo, cioè 386 milioni al giorno e 11 miliardi e mezzo al mese.

E’ forse questo l’aspetto più interessante della campagna elettorale che si è conclusa. In un’epoca, la famosa “era di Internet”, nella quale in astratto i cittadini dovrebbe disporre di strumenti non paragonabili a quelli di cui disponevano in passato per controllare e verificare i fatti, le “balle elettorali” si sono moltiplicate. Il rapporto dei cittadini con la competizione politica si è uniformato a quello degli spettatori di una fiction: si sa perfettamente che quella non è la realtà, ma ci si appassiona. Gli attori della politica sono percepiti come attori tout court.

Secondo la valutazione pressoché unanime degli opinionisti questo proliferare delle bugie è stato favorito da quanto via via emergeva dai sondaggi (che è poi ancora oggi l’esito più probabile del voto): non vincerà nessuno e si dovrà andare o allo scioglimento delle Camere o a “qualche” governo. La prima ipotesi è altamente improbabile per via del “fattore umano”, cioè della tendenza degli eletti a incollarsi alla sedia e a cambiare casacca piuttosto che lasciare lo scranno parlamentare. La seconda ipotesi – qualunque forma prenda – sarà comunque il frutto di un incontro, e dunque di un compromesso, tra forze politiche che per tutta la campagna elettorale si sono combattute. Quindi potranno attribuirsi reciprocamente la responsabilità di non aver reso possibile l’attuazione delle rispettive promesse. D’altra parte è proprio questo l’argomento che già utilizza Silvio Berlusconi quando gli si fa notare che oggi sta riproponendo una serie di promesse che non fu in grado di mantenere da presidente del Consiglio: “Colpa degli alleati”, è la sistematica risposta.

Il fatto che lo stallo sia l’esito più probabile (a meno che non ci sia una vittoria del centrodestra: ipotesi che fino a quando i sondaggi erano divulgabili pareva l’unica possibile, anche se molto difficile) non significa che l’esito del voto sia meno rilevante. Ci sono, infatti, diversi possibili stalli, e diverse possibili soluzioni. Di certo non ci sarà più un governo di centrosinistra come quelli che si sono succeduti in questa legislatura mentre il Partito democratico si dilaniava nelle lotte intestine che hanno portato alla nascita di Liberi e Uguali, nuova formazione politica all’interno della quale, peraltro, si sono ritrovate personalità politiche che prima del renzismo e dell’anti-renzismo si avversavano ferocemente tra loro.

La forbice delle soluzioni allo stallo è ampia, e solo dopo l’esito del voto si potrà capire – numeri alla mano – quali saranno le strade politicamente, e aritmicamente, praticabili. Si va da un governo di stampo xenofobo e populista (in caso di un successo Salvini-Meloni nell’ambito di un generale successo del centrodestra) a qualcosa di simile alla Grande coalizione tedesca (in caso di una tenuta del Pd accompagnata da un’affermazione decisa di Forza Italia tra le forze della coalizione messa assieme da Berlusconi). Come si vede, se ci si mette dal punto di vista di un elettorale del centrosinistra, di quanti, a milioni, sostennero la nascita del Partito democratico, quella che un tempo era la peggiore delle ipotesi è diventata la migliore. E questo dovrebbe essere sufficiente a rimettersi interamente in discussione.

Purtroppo, fino a ora, e in particolare nella formazione delle liste elettorali, abbiamo assistito – in tutti i partiti, compresi quelli “più nuovi” – a un processo opposto: la “messa in sicurezza” del ceto politico, l’eliminazione del dissenso. Mettendo assieme tutte le liste, raggiungiamo un numero di “paracadutati” da far concorrenza allo sbarco in Normandia.

Anche a causa della radicale riduzione dei posti disponibili, la sempre evocata, e mai realmente considerata, “società civile”, nelle liste ha una rappresentanza irrisoria. Questo proprio mentre la presenza nella politica di chi vive nella società sarebbe più necessaria perché il Paese sta attraversando – come tutto il mondo occidentale – una fase delicatissima di cambiamento. Mentre la globalizzazione economica e tecnologie sempre più sofisticate rivoluzionano l’organizzazione del lavoro e, contemporaneamente, milioni di donne, uomini e bambini delle aree più povere e disperate del mondo premono ai confini e mettono alla prova i valori e principi fondamentali affermati dall’umanità dopo la Seconda guerra mondiale e la fine del nazifascismo. Una situazione che dovrebbe portare in prima linea le donne e gli uomini migliori, non gli istinti peggiori.

Tuttavia si può anche guardare a questa situazione con un filo di speranza: un risultato elettorale che non crei “danni irreversibili” con l’affermazione immediata del populismo xenofobo, e che obblighi quanti credono nei valori costituzionali – che sono diventati la vera linea di confine – a una riflessione profonda e a una modifica rapida dei metodi della politica. La speranza, in definitiva, è che vediamo il fondo dell’abisso senza precipitarvi. Sì, è vero, abbiamo avuto speranze più alte. Ma, una volta tanto, ascoltiamo con la mente sgombra dai pregiudizi la voce di Gramsci: uniamo il pessimismo all’intelligenza.

G.M.B.

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share