Fantasia, creatività e rigore. Quando la rivoluzione di Pannella arrivò in Sardegna

Curioso. L’uomo e l’uscita di scena, quasi in punta di piedi rispetto all’irruenza dell’agire politico. Anche non volendo ne avvertiremo l’assenza e lo ricorderemo spesso, più di quanto oggi si possa azzardare a pensare, sia per i tempi e sia per i fenomeni della politica, inconsistenti, che viviamo quotidianamente. Sui prodotti, chiedo scusa, meglio sorvolare. Segnali di dilagante conformismo e irresponsabilità sembrano infatti non mancare: due aspetti che Marco sopportava con difficoltà, quasi con colpevole dolore. Lui, imperterrito, non si arrendeva e alla superficialità rispondeva col ragionamento, con le maratone televisive, i filo diretti radiofonici. Sbaglia chi ha pensato che in fondo fosse solo un rompiscatole, un pessimista, un logorroico despota. Piuttosto, era un irregolare della politica, fin troppo informato e assetato di verità e giustizia per potersi permettere la dilagante e disarmante mediocrità di pensieri e slogan. E come ogni buon irregolare che si rispetti, era ritenuto inaffidabile, imprevedibile, pericoloso, quindi da emarginare e silenziare. E’ la maledizione che continua ad accompagnare molti dei radicali, militanti e non. Potrà sembrare contraddittorio – l’uomo e sempre stato campione di apparenti contraddizioni – ma Marco amava e praticava così tanto la vita da rischiarla, la sua, fosse solo per elemosinare un poco di attenzione in più su ciò che profetizzava.

Tratteggiare in poche battute la figura di Marco Pannella, più di quanto in molti stanno facendo in queste ore, è oltremodo difficile: il rischio di cadere nella retorica sarebbe altissimo. Raccontarlo solo per immagini, ricordi, aneddoti, mi pare banale e in molti potrebbero esercitarsi con migliore successo. Semmai, forse è il caso di spendere due righe sull’insegnamento che ha trasmesso a coloro che hanno avuto la ventura di incontrarlo sul proprio cammino, io tra questi. Su come era percepito e su cosa è rimasto nell’Isola di quel modo di fare politica. Ci provo.

L’esempio e il coraggio, la responsabilità delle proprie azioni, la critica all’antipolitica e la capacità di far coincidere i mezzi coi fini. Ancora: la cognizione di causa, il mai essere indulgenti con se stessi, ma generosi con gli altri fino allo sfinimento fisico. La fantasia, la creatività, lo sberleffo – che non erano derisione né illusione – semmai per quei tempi, in Sardegna, una vera e propria rivoluzione, radicale, della politica. Una politica che inaugurò un modo diverso di manifestarsi e muoversi: non contro i partiti – esercizio che ha sempre lasciato il tempo che trovava – ma contro la partitocrazia. E all’epoca la partitocrazia in Sardegna, il consociativismo, mica scherzavano. Semplicemente ti isolavano, ti avvelenavano i pozzi, ti asfissiavano. Non era tenero Marco, tanto più con noi. Pretendeva rigore, preparazione anche nell’improvvisazione, il Partito, l’autofinanziamento, la Radio venivano prima di tutto, erano strumenti fondamentali di lotta, di sopravvivenza politica, naturalmente per chi la interpretava francescanamente. Una volta mi rimproverò di brutto: “Sì, vabbe’, ora però basta con le cazzate, quanti soldi avete raccolto e inviato al Partito?”. Aveva ragione e nel mio piccolo, quando mi è stata data la possibilità di amministrare, ho messo in atto i suoi insegnamenti: prima le cose importanti, prima gli altri e gli ultimi, poi le cazzate.

Ci sentivamo un po’ “missionari” e non c’era giorno che ci vedesse assenti nella via Manno di Cagliari a distribuire parole, richiamare coscienze sopite, chiedendo in cambio l’obolo per pagare le spese del ciclostile. Un impegno totalizzante, sempre contrapposti all’esibizione di un potere fine a se stesso, con la perenne ambizione di poterlo rovesciare, dimostrando così la nostra capacità di saper trasformare le idee in fatti concreti. E quindi, in ultimo dire: “il re è nudo!”.

Era una politica, una militanza “altra”, perché non aveva paura dei “diversi”, degli ultimi, dei “pazzi”, ma neanche degli avversari che ci denigravano, quelli che nonostante tutto cercavamo, sempre, di portare dalla nostra parte, di convincere e coinvolgere nelle tante battaglie. E se non si convincevano, che almeno sganciassero qualche lira, andava bene lo stesso! “Prostituti della politica!”: quante volte ce lo siamo sentiti dire. Fregava nulla, a conti fatti avevamo la consapevolezza che nel pur difficile agire politico eravamo ascoltati, se non rispettati. Ma erano tempi diversi, i meriti te li dovevi conquistare sul campo traducendo il verbo radicale in fatti concreti, in lavoro, in opposizione costruttiva e leale, non come oggi, sul web, con qualche selfie leccato e consenso taroccato. Ricordo i Melis, i De Magistris, Carta, Cogodi, Cocco, Sanna, tanti altri, con loro il confronto e scontro erano feroci, ma c’era attenzione, rispetto, forse considerazione, alcuni di loro condividevano in segreto molte nostre idee e ne apprezzavano l’impegno e la serietà che ci mettevamo per realizzarle.

Di quei momenti, di quel modo di fare politica è rimasto poco in Sardegna, l’antipolitica ha fatto il resto cancellando insieme meriti e torti. Anzi, facendoti quasi colpa di esserne stato, in parte, in piccolo, protagonista. La solidarietà, l’umiltà, il coraggio di riconoscere i propri errori e rifiutare la “chiamata” quando ti sentivi inadeguato al ruolo e al compito che ti si voleva assegnare: gazzosari e venditori di fumo mai. Froci, antimilitaristi, antiproibizionisti, abortisti, etc etc…sì, certo, ma soprattutto liberi da schemi mentali, sempre pronti a processare il Palazzo, senza però demolirlo finendo con esso sotto le macerie.

L’epopea, la diaspora radicale in Sardegna ebbe inizio con una delle tante, generose sfide lanciate da Marco, per primi a noi stessi: il transpartito, la doppia tessera, la missione che avrebbe dovuto portare le nostre idee in casa d’altri, per una reciproca contaminazione e arricchimento. Da lì, dopo l’esperienza antiproibizionista degli anni 90, la voce e presenza dei radicali si è pressoché spenta. E con essa una stagione politica che ha decisamente virato nell’amministrare la disperazione, se non nel camaleontismo. Oggi che pare – e forse appare – tornata in auge la battaglia contro il finanziamento pubblico dei partiti e per la democrazia diretta, mi viene quasi da sorridere: bisognerebbe coltivare meglio la memoria.
Nessun silenzio né preghiere per l’apostolo radicale, un brindisi e una risata semmai dovrebbero accompagnare il ricordo di Marco, Giacinto Pannella. Lui sarebbe con voi al grido di “Bona vida!”.

Massimo Manca

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