La deriva aerospaziale del pullman di Calamosca

A un certo punto a Cagliari, negli anni Settanta, ma forse ancora prima, chissà, il “pullman di Calamosca” entrò nel linguaggio. Chiedevi l’orario di arrivo o di partenza di un qualunque mezzo di trasporto – fosse un treno o una nave, un aereo o un altro pullman – e se non c’era certezze ti sentivi rispondere: “Boh, è come il pullman di Calamosca”.

Per chi non conosce Cagliari, va detto che Calamosca è una zona periferica a ridosso nel mare, vicina al quartiere di Sant’Elia e alla Sella del Diavolo, per gran parte sottoposta a servitù militari che l’hanno contemporaneamente resa poco accessibile ai cagliaritani e protetta dagli speculatori.

Calamosca, fino agli inizi del nuovo secolo, quando fu abolita la leva obbligatoria, era nota a tutti i giovani sardi (esclusi quelli destinati alla Marina) perché era là, nella caserma “Ederle”, che si veniva sottoposti alla visita di leva. Si trascorrevano a Calamosca tre giorni totalmente inutili e, alla fine di ogni giornata, si usciva dalla caserma e si andava ad attendere il pullman per tornare in città o alla stazione dei treni, o degli altri pullman, per quelli che venivano dai paesi.

Questo pullman non aveva orari precisi. Partiva quando era pieno. Perciò gli orari variavano moltissimo. Se per esempio il pullman incrociava la fine della visita di leva,  in pochi minuti ripartiva strapieno lasciando a terra decine di ragazzi inferociti. A volte, invece, stava là a sonnecchiare per ore, circondato da sparuti bagnanti avventurosi che si erano spinti fino a là, o pescatori del fine settimana, o coppiette che avevano amoreggiato tra gli scogli.

Il “pullman di Calamosca” – all’epoca evocato solo come simbolo della natura aleatoria dello spostarsi da un luogo all’altro – era anche la perfetta metafora di una certa idea dei rapporti tra cittadini e istituzioni. Dove i primi sono al servizio delle seconde, e non viceversa.

Un’idea che all’epoca i sardi sperimentavano molto spesso in varie forme. Negli sgarbi subiti all’imbarco sulle navi della “Tirrenia”, nelle comunicazioni liquidatorie e a volte incomprensibili sulle ragioni dei ritardi dell'”Alitalia”, nelle pessime condizioni dei mezzi di trasporto pubblico metropolitano (sintetizzate da un’azienda, Act, che ecocava lo starnuto)l , nella lentezza estenuante della ‘littorina’, poi diventata ‘trenino verde’. E in generale – quando non avevano a che fare coi trasporti – nella macchinosità di un’amministrazione che era riuscita a trasformare in un incubo il rinnovo della carta d’identità.

Poi le cose cominciarono a cambiare. Un po’ perché i sardi cominciarono ad andare all’estero non solo da emigrati.  E a scoprire la precisione prussiana dei trasporti tedeschi, l’efficienza solo apparentemente svagata di quelli inglesi e la precisione meticolosa e solitamente garbata dei controllori francesi. Un po’ perché la concorrenza di compagnie di trasporto private obbligò quelle pubbliche a adeguarsi a livelli ben più alti di efficienza e di cortesia.

Il pullman di Calamosca sembrava destinato a entrare nella categoria dei ricordi di un’Italia e una Sardegna ruspanti e sgangherate, a metà strada tra la civiltà agricola e quella industriale, ancora incerte sulla loro identità. Ma non era così. Ed ecco che, superata la prima decade del nuovo secolo, due compagnie aree, “Alitalia” e “Meridiana”, ottengono l’autorizzazione a cancellare i voli quando non sono sufficientemente pieni. Tutto avremmo immaginato allora, ma non che un giorno lo sgangherato  pullman di Calamosca avrebbe messo le ali.
Nicolò Businco

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