Comunque andrà a finire, non ci si divide tra le macerie

Siamo stati chiari: non abbiamo mai simulato una “obiettività” impossibile (come si spiega fin dal primo anno agli studenti delle scuole di giornalismo) e abbiamo detto fin dal giorno della nascita di questa testata (era il primo ottobre del 2013 e proprio oggi su Facebook siamo diventati 50mila) che quello guidato da Ugo Cappellacci era il peggior governo della storia autonomistica.

In quest’anno e mezzo ne abbiamo documentato puntualmente gli sprechi, i favoritismi scandalosi, l’uso spregiudicato del denaro pubblico. Con le inchieste di Pablo Sole abbiamo svelato nei dettagli i meccanismi di un sistema di potere amorale. Non abbiamo ricevuto nemmeno una smentita.

Molto raramente le forze di opposizione ci hanno seguito. In pochissimi casi le nostre denunce sono diventate interrogazioni e interpellanze. Come se i meccanismi di questo sistema marcio fossero in qualche modo entrati nel senso comune di chi svolge professionalmente l’attività politica. Quando si perde la capacità di scandalizzarsi, si è persa la capacità di considerare la politica come uno strumento per cambiare le cose. Cioè si muore.

Il risultato che verrà fuori dalla urne è molto incerto. Tutte le possibilità restano aperte: potremmo ritrovarci Cappellacci nuovamente governatore. Potrebbe vincere Francesco Pigliaru. Potrebbe consolidarsi, come nuova forza politica, “Sardegna Possibile” di Michela Murgia.

La pessima legge elettorale votata lo scorso anno può determinare (a partire da piccoli spostamenti di voti) esiti diversissimi. È una specie di lotteria. E chi vince alla lotteria naturalmente festeggia, ma sa bene che da quel momento in poi deve investire con oculatezza il frutto della vincita, perché non si può mantenere la propria famiglia col gioco d’azzardo.

Se il risultato alla fine sarà quello che ci auguriamo – la sconfitta di Cappellacci – si sarà solo all’inizio di un percorso. Si tratta di ricostruire tutto: la corretta applicazione delle regole amministrative, il sistema dell’informazione, i meccanismi per l’accesso al lavoro, il welfare. Si tratta di riportare i cittadini sardi alla politica come strumento per costruire il futuro, di dare eguali opportunità ai giovani, fermarne l’esodo, migliorare la condizione delle famiglie in difficoltà. Si tratta di tornare, in fondo, ai principi della Costituzione.

Se il risultato dovesse essere negativo, ognuno dovrà trarne le conseguenze. Perdere queste elezioni è davvero difficile. E la leadership del centrosinistra non potrà certo trincerarsi dietro la presenza di un nuovo movimento. Perché se un partito non è in grado di dare risposta ai bisogni di cambiamento, è fisiologico che quei bisogni vadano a cercare altri luoghi dove esprimersi. Ed è davvero sconcertante per gli elettori assistere alla rimozione di un candidato eletto dalle primarie perché indagato e alla contestuale candidatura di consiglieri indagati nella stessa inchiesta.

Abbiamo vissuto con amarezza le ultime fasi di questa campagna elettorale. Riteniamo che Francesco Pigliaru e Michela Murgia siano quanto di meglio poteva esprimere la società sarda. E siamo certi che, in una situazione drammatica come quella della nostra Isola, le forze migliori debbano trovare il modo di collaborare fattivamente. Lo chiedono i cittadini che, come noi, hanno assistito con sgomento alle fasi più aspre di questa lotta fratricida.

Crediamo che Pigliaru non sia l’ennesimo “papa straniero” che i capibastone del centrosinistra hanno scelto per proseguire nelle loro pratiche di potere, ma un intellettuale che si è fatto carico di un rischio e di una responsabilità enormi. Crediamo che Michela Murgia non sia una “scrittrice qualunquista”, ma una persona generosa e coraggiosa che crede in quel che fa e si mette in gioco. Crediamo che sia nella loro responsabilità di leader politici trovare un linguaggio per comunicare. Molti dei loro elettori quel linguaggio già lo conoscono e lo parlano. Lo imparino: possiedono gli strumenti per farlo.

Questo ovviamente non significa rinunciare alle proprie visioni dello sviluppo dell’Isola e nemmeno del mondo. Ma qualunque cosa accada, saremo in una fase “da dopoguerra”. Una fase dove si tratta soprattutto di ricostruire o – secondo quel che accadrà – di evitare ulteriori distruzioni. Non ci si divide tra le macerie.

G.M.B

 

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