Il Banco di Sardegna verso la fusione (anche formale) con la Banca Popolare dell’Emilia Romagna?

Amsicora – che i lettori di Sardinia Post conoscono dal settembre del 2014 – è lo pseudonimo di un collettivo che raccoglie ed elabora informazioni acquisite da fonti economiche qualificate. In questo intervento vengono posti alcuni quesiti di oggettivo interesse pubblico. Sardinia Post mette a disposizione delle istituzioni e delle persone interpellate tutto lo spazio che riterranno necessario per rispondere.

Ha destato un certo stupore il fatto che nella relazione, con cui si è accompagnato l’ultimo bilancio della Fondazione di Sardegna, non ci sia neanche una riga dedicata all’andamento, non certo brillante, della sua più importante partecipazione (quella relativa al capitale del Banco di Sardegna Spa), né sul perché quei 350 e passa milioni di euro non abbiano prodotto alcun utile. Ci si sarebbe aspettato qualche informazione, visto che, a parte un provvidenziale lifting extragestionale, i conti della gestione bancaria parevano tendere, pericolosamente, al “rosso”.

Uno stupore, quello di quanti conoscono la materia, a dire il vero mitigato dalla constatazione che un certo ermetismo caratterizza da tempo l’atteggiamento della Fondazione verso  l’azienda bancaria da cui proviene il suo patrimonio. Nella relazione di accompagnamento all’ultimo bilancio, c’è un accenno sul fronte delle partecipazioni bancarie. Ma riguarda la Banca Popolare dell’Emilia Romagna (Bper), la cui partecipazione al capitale viene definita come “strategica”, informando che ormai “ha superato il 3 per cento” (ora avrebbe raggiunto quasi il 5 per cento).

D’altra parte, a leggere la relazione, si scopre che l’ermetismo è praticato anche nei rapporti col ministero competente per la vigilanza, in relazione all’obbligo, introdotto nel 2015,  di ridurre la partecipazione nella banca conferitaria (il Banco di Sardegna, appunto). Si  conferma infatti di avere provveduto “a tramettere al Ministero dell’Economia e delle Finanze la prescritta comunicazione in merito alle misure adottate per la gestione del patrimonio come disciplinato dal protocollo ACRI/MEF dell’aprile 2015” (quello, cioè, riguardante il divieto di “detenere impieghi, diretto o indiretti, in esposizioni verso un singolo soggetto per l’ammontare complessivamente superiore a un terzo del totale dell’attivo dello stato patrimoniale della Fondazione”: caso in cui ricade quel 49 per cento). Cioè si precisa, usando il participio passato, d’avere già adottato le prescrizioni della Vigilanza ministeriale. Ma non si dice come. Se questo possiamo chiamarlo ermetismo o “poca trasparenza”, lo giudichino i nostri lettori.

In assenza di informazioni sufficientemente circostanziate, per tentare di leggere questa situazione di indubbio interesse pubblico, non resta che riflettere su quanto si sa della situazione attuale della Fondazione presieduta dall’ingegner Antonello Cabras. Naturalmente in relazione ai collegamenti azionari della stessa Fondazione con il Banco Sardegna e con la Bper.

La prima riflessione che si può fare riguarda il valore attuale della partecipazione nel Banco, svuotato, come ben si sa, di molti rilevanti asset patrimoniali. Secondo un’importante società finanziaria, da noi interpellata, il valore della partecipazione nella banca sarda, indicata in 352,16 milioni (pari al 49 per cento delle azioni ordinarie, al 36,9 per cento di quelle privilegiate e dello 0,38 per cento di quelle di risparmio), non varrebbe, sulla base attuale (sia patrimoniale che di performance), più di 90-95 milioni di euro. Cioè, l’eventuale cessione a terzi di tutta o di parte di questa partecipazione porterebbe ad una forte perdita patrimoniale.

Inoltre non ci sarebbe una grande differenza se il capitale detenuto della Bper fosse pari al 3 o al 5 per cento. Infatti il valore unitario di quelle azioni continua a subire in Borsa continue oscillazioni, passando dai 5,65 euro di gennaio ai 3,86 ed al 4,04 di questo novembre: da qui il pericolo, anche in questo caso, di possibili minusvalenze (gli ultimi 21 milioni di azioni sarebbe state acquistate ad un prezzo medio di 4,31 euro). In più, alcune recenti vicende, come l’acquisizione della CariFerrara, parrebbero portare a delle spiacevoli ed onerose sorprese, per via di alcune preoccupanti sentenze…

D’altra parte quella forte volatilità nel valore delle azioni è determinata, secondo gli analisti di Borsa, dall’incertezza su chi sarà il gruppo di controllo della banca modenese al rinnovo integrale del suo consiglio d’amministrazione, previsto per l’assemblea del 2018: se sarà il gruppo Unipol & C. o  saranno i Fondi della galassia BlackRock (o, come si vocifera, una potente banca estera).

E tutto questo può anche fornire una spiegazione dell’ermetismo adottato nella relazione. Sarebbe finalizzato a non evidenziare troppo una perdita che potrebbe anche essere non trascurabile. Ma è impossibile non sottolineare che le regole dell’etica economica vorrebbe che a guidare l’elaborazione dei bilanci fossero sempre, soprattutto negli enti pubblici o di evidenza pubblica come le Fondazioni bancarie, la trasparenza e la completezza delle informazioni.

Un punto fermo è che le due partecipazioni della Fondazione sono ben diverse tra loro: quella in Bper, società quotata in Borsa, può essere messa in vendita al momento opportuno, mentre quella nel Banco di Sardegna appare di difficile esitazione, se non a costo di una penalizzante minusvalenza. Fonti vicine a Milano Finanza sostengono infatti che l’interesse dei Fondi USA ad acquisire il controllo dell’istituto sardo, si sia di molto affievolito di fronte alla richiesta di Fondazione e di Bper di poter cedere l’80 per cento del capitale per una cifra non inferiore agli 850 milioni di euro, circa il doppio dell’offerta iniziale (si pensi al riguardo che la capitalizzazione di borsa della Bper avrebbe oscillato nell’ultimo anno tra 1,3 e 2,1 miliardi di euro).

In definitiva, molti indizi convergenti fanno ritenere che il collocamento della partecipazione nel Banco di Sardegna, in toto o in parte, per la Fondazione non sia affatto semplice. E questo, a nostro parere, perché il Banco di Sardegna non è più, nella realtà, un’azienda bancaria, ma soltanto un’appendice territoriale della Bper. Perché ogni sua azione gestionale, dal piano industriale alla valutazione degli investimenti, viene decisa, in esclusiva, dal management modenese. Tanto che gli interpreti più “radicali” negli ambienti finanziari parlano ormai di ad una fusione mascherata per quel che appare nell’immagine esterna, ma del tutto concreta nella realtà.

Questa situazione comporta necessariamente che la sorte di quei 352 milioni di euro della partecipazione nel Banco dipenda strettamente – se non esclusivamente – da quel che deciderà l’azionista di maggioranza, cioè la Bper. Già, ma quale Bper? Quella attuale dove comandano Onofri e Vandelli (cioè il vecchio establishment modenese), o quella che sortirà dall’assemblea dell’anno prossimo con l’Unipol di Carlo Cimbri o con i Fondi della BlackRock come gruppo di controllo e comando?

È a partire da queste domande senza risposta che si comprende la difficoltà in cui si trova la Fondazione.  Anche perché dalla lettura della relazione all’ultimo bilancio emerge la forte volontà di “disfarsi” di ogni legame patrimoniale con la banca-madre (anche lo stesso cambiamento del nome da “Fondazione Banco di Sardegna” a “Fondazione di Sardegna”, come voluto da Cabras, può essere letto come un “indizio”). Se le cose stanno così, avrebbero una ragionevole ragion d’essere gli svariati pour-parler che, come è noto negli ambienti finanziari, si sono svolti e si svolgono  fra Fondazione ed Unipol in relazione a un progetto di fusione non più “mascherata” del Banco in Bper.

Ma se questa è davvero la strada più probabile (e, per certi versi, quasi obbligata), i cittadini sardi e le forze politiche non possono non interrogarsi su quali responsabilità abbiano portato, in un quindicennio, la trasformazione del Banco di Sardegna da banca “vera” ad appendice di un’altra. Consentendo che il Banco venisse via via spogliato dei suoi migliori asset patrimoniali, delle sue competenze, delle sue liquidità e, nella sostanza, privato di ogni sua volontà gestionale autonoma (non utilizzando, come si sarebbe potuto e dovuto, le capacità derivanti dall’avere in mano il 49 per cento del capitale).

Noi di Amsicora siamo certi che l’opinione pubblica dell’Isola è in attesa che su questo venga fatta finalmente chiarezza. Perché quella banca già di diritto pubblico, con la legge 218 del 1990 (conosciuta come Amato-Carli) che ne ha trasferito la proprietà e il patrimonio alle Fondazioni, ha come suoi esclusivi stakeolders, cioè come suoi reali portatori d’interesse, tutti i sardi.
Ed è una chiarezza informativa che deve provenire soprattutto dalla politica regionale, cioè da quanti sono chiamati, democraticamente, a tutelare gli interessi dell’intera comunità isolana. Perché ciascuno di loro, dal Presidente della Regione a tutti i Consiglieri, di maggioranza e d’opposizione, debbono tener presente che la “Fondazione di Sardegna” non è, come si direbbe sarcasticamente in romanesco, robba de’ noantri. E’ patrimonio di tutti.

Amsicora

 

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