Banco di Sardegna, la Fondazione eviti ogni sudditanza verso la Bper. E la politica parli

Una fusione tra la Banca Popolare dell’Emilia Romagna (Bper) e la Banca Popolare di Milano (Bpm) viene data sempre più probabile da diverse fonti finanziarie. Potrebbe essere decisa anche in tempi brevi, non appena approvata la trasformazione delle due cooperative in società per azioni. Secondo alcuni osservatori, ciò significherebbe che le redini dell’operazione risulterebbero sempre più in mano dei fondi d’investimento internazionali già presenti pesantemente nell’azionariato delle due Popolari. Non andrebbe comunque sottovalutata la presenza di sempre ben agguerrite resistenze “interne” (qualche anno fa quei gruppi di controllo mandarono a monte un simile progetto di fusione). Non pare quindi del tutto scontato il risultato finale: sarà Bper + Bpm oppure Bper + Unipol-banca, o altro?

Andrebbero quindi valutate in questo senso le ultime dichiarazioni pubbliche del presidente della Fondazione del Banco di Sardegna, Antonello Cabras (rese in occasione dell’approvazione del bilancio), in ordine alla cessione di quella parte di azioni del Banco di Sardegna resasi necessaria dalle prescrizioni ministeriali. Certamente, la riservatezza non può che avere prevalso sulla chiarezza, ma alcuni accenni fatti da Cabras hanno lasciato intendere che la sua strategia attuale sarebbe quella di rimanere in attesa di quel che potrebbe avvenire a Modena. Questo perché la cessione dovrebbe avere come destinazione proprio il socio Bper, per via dell’obbligazione sancita dall’articolo 3 dello statuto, così come introdotta nell’ottobre del 2013 (“Qualora un socio intenda trasferire, in tutto o in parte, le proprie azioni ordinarie o privilegiate, ovvero diritti di opzione per la sottoscrizione di azioni ordinarie o privilegiate, deve offrirli in prelazione agli altri possessori di azioni ordinarie o privilegiate, con diritto di accrescimento fra loro…”, recita il nuovo testo).

Non vi è dubbio alcuno, quindi, che la decisione del presidente Cabras denoti saggezza e prudenza, poiché le notizie provenienti da Modena sono tuttora molto vaghe, e denotano che, specie fra i soci più influenti, siano emerse posizioni molto differenti su quel che ne sarà il futuro. Soprattutto in ordine alle fusioni od integrazioni possibili. L’unica cosa certa è che, con l’abolizione del voto capitario e la trasformazione in SpA, la Bper debba: (a) poter contare su di un gruppo di controllo del 25-30% del capitale che le possa assicurare una governance autorevole, stabile ed omogenea; (b) rafforzare adeguatamente il proprio capitale per mettersi al riparo dai ratios della Bce; (c) meglio definire, infine, quello che dovrà essere il proprio futuro organizzativo, dopo l’abbandono del progetto di banca federale, ed il progressivo attenuamento dei suoi legami con i vari territori.

Quanto fin qui si è potuto apprendere ufficiosamente, può comunque chiarire che sul futuro della Bper permangono molte incertezze, anche per le visioni, non sempre coincidenti, fra il presidente Ettore Caselli e l’amministratore delegato Alessandro Vandelli. Tra l’altro, una parte dei soci storici, quelli guidati dall’avvocato Gianpiero Samorì, ha proposto, come salvaguardia del radicamento emiliano della Bper, quello di “varare un aumento di capitale da due miliardi di euro” riservato ai grandi imprenditori locali, cercando di creare “un unicum di soggetti stabili in grado di investire per far evolvere la banca storica della nostra regione”.

Né appare chiaro, viste le idee assai dissimili che circolano fra i diversi gruppi di soci, se la presenza creditizia in Sardegna, in un mercato ritenuto difficile e di modesta redditività, rientri, o meno, nel futuro più o meno prossimo della Bper società per azioni. Per essere ancor più chiari: se nel futuro della banca di Modena ci sia posto per il mantenimento del controllo sul Banco di Sardegna, anche perché, cedendone quel 51% di capitale posseduto, ci sarebbe modo di “fare cassa”.

Come si può ben arguire, di fronte a questa fluidità d’opinioni e di iniziative, la prudenza di Cabras appare pienamente giustificata. Ed anche ampiamente condividibile. Dove, però, si ritiene d’avanzare qualche rilievo è nella gestione della partecipazione detenuta nell’azienda bancaria. Che non può essere caratterizzata da una “mostruosa passività e riprovevole sudditanza” nei confronti dei voleri della Bper, come qualcuno continua a sostenere.

Mantenere quel 49% in attesa di tempi migliori – riprendiamo – è opzione giudiziosa ed accorta; ma permettere che la Bper continui a fare ed a disfare sul Banco come se ne possedesse il 100% è, a nostro parere, peccato grave, anzi: gravissimo. Perché si scrive questo? Perché – chiariamo – quel che è stato deciso di recente a Modena sulla Banca di Sassari, trasformandola da azienda creditizia radicata storicamente nell’isola, a semplice “società prodotto” con competenze nazionali ed in procinto di prendere il volo verso altri lidi (perderebbe così da Bankitalia la licenza di banca?), rappresenterebbe, a nostro giudizio, un danno non insignificante per l’economia regionale (oltre che per la sua storia economica). Si tratterebbe dell’ultima, ma non certo la maggiore, tra le tante “spoliazioni” effettuate dal 2001 in avanti (una stima, magari anche discutibile,  indicherebbe in oltre 700 milioni di euro il valore delle sottrazioni fin qui effettuate).

Chiariamo: la Banca di Sassari è controllata attualmente dal Banco di Sardegna Spa, che ne detiene il 79,72% del capitale (la Bper ne possiede il 18,09, mentre il restante 2,19 è in mano ad un centinaio di altri soci). È stato quindi il suo azionista di maggioranza a volerne ed a deciderne la trasformazione. Si vorrebbe dopo una consultazione con la Fondazione, visto che – come nel caso della Sardaleasing e degli sportelli nella penisola – anche in questo caso si era di fronte ad un’operazione che andava ad incidere sui valori, reali e virtuali, del patrimonio del Banco.

Ma – chiediamo – la Fondazione è stata consultata? E se sì, ha espresso il suo consenso? Si è resa conto che, con il suo assenso, aveva consentito un possibile danno patrimoniale? E se tutto è avvenuto a sua insaputa, quale è stata la sua reazione? Sono domande non certo mosse da morbosa curiosità, quanto dal desiderio di voler sapere se quella quota di capitale (ammontante a più o meno 352 milioni di euro nominali) è posseduta dalla Fondazione come se fosse una cartella del debito pubblico (cioè passivamente), e non come un’obbligazione per esercitare attivamente le prerogative dell’azionista, in difesa dei valori del proprio bene (la stessa “Carta delle Fondazioni” l’obbliga a dover vigilare attentamente affinché la società bancaria di riferimento mantenga il suo ruolo di volano di crescita e di stabilizzazione del sistema finanziario locale, non mancando di esercitare a tal’uopo tutti i diritti dell’azionista).

Tutto questo viene segnalato al solo fine di poter meglio capire cosa potrebbe succedere, nei movimenti in atto, al Banco di Sardegna. Se, cioè, abbia, o meno, un suo futuro importante al servizio dell’economia regionale. E, non certo secondariamente, se la Fondazione abbia una sua strategia per tutelare e per rafforzare la presenza nell’isola di una banca dal forte radicamento nell’economia regionale. Anche da mettere in campo, in appoggio o in alternativa a quella voluta dalla Bper.

Perché non vorremmo che la politica creditizia dell’isola debba essere subordinata e sottomessa ai soli voleri dei banchieri modenesi (presenti e/o futuri). O, ma non secondariamente, agli intendimenti di quei Fondi d’investimento internazionali, non certo immuni da colpe sulla genesi della grave crisi in atto (non è facile dimenticare quanto avvenuto, a causa loro, nel 2011, con le gravi difficoltà procurate alle banche europee). I loro programmi, infatti, potrebbero perseguire interessi ben al di là di quel che può essere utile all’isola, comandati, tra l’altro, più dalla speculazione che dalla ragionevolezza.

(In scritti precedenti si è sottolineato come proprio questi Fondi comuni – ad iniziare del potente BlockRock – abbiamo mostrato molto interesse al Banco di Sardegna e, ancora, al possibile recupero di una sua autonomia operativa. Si tratta, ovviamente, di un fatto molto positivo che occorrerà seguire, nei suoi sviluppi, con molta attenzione. Non sappiamo se queste notizie di fonte milanese abbiano avuto conferma in contatti esplorativi con la Fondazione. Da quest’ultima, proprio per quel s’è detto più sopra, ci s’attenderebbe, nella valutazione di possibili intese, molta prudenza).

Ma la Sardegna è in grado, ha voglia, ha interesse a metter su, e ad attuare, un programma di politica creditizia che possa riportare l’intermediazione del risparmio dentro una logica di controllo e di utilizzo territoriale, liberandola dalle pericolose dipendenze da interessi e volontà estranee? Questo, per noi di Amsicora, lo scenario tutto politico su cui ci si debba misurare e confrontare.

Si tratta quindi di un impegno che va oltre la Fondazione, e che coinvolge direttamente la Regione ed il suo Presidente. Cosa ne pensa al riguardo il professor Francesco Pigliaru ed il suo assessore con delega al credito? Non è una domanda peregrina, dato che quel che sta accadendo non può essere ritenuto una fatto “privato” fra Cabras e Vandelli: si tratta di affrontare politicamente almeno tre fatti di valenza esclusivamente “pubblica”: (a) la permanenza nell’Isola di una banca storica, fortemente radicata nella sua economia, e, quindi, di inequivocabile interesse generale; (b) la difesa di valori patrimoniali ed aziendali che sono pubblici, in quanto derivanti da un “bene originario” di proprietà di tutti i sardi; (c) l’obbligo/dovere, infine, di perseguire e di rispettare, con le proprie decisioni, l’esclusivo e preminente interesse generale della comunità isolana.

Proprio queste tre ultime valutazioni inducono a ritenere che sia compito della Sardegna, delle sue istituzioni e delle sue rappresentanze (politiche ed economiche), vigilare attentamente perché i giochi in atto, sul quadrante bancario, non risultino di grave nocumento per il futuro dell’isola. La Fondazione – ricordiamolo – ha in mano tuttora un ruolo importante con il suo 49% nel capitale del Banco di Sardegna: non vorremmo però che, come nel 2000, si limitasse ad assistere passivamente, e ad avallare supinamente, le decisioni prese su altri tavoli, per valorizzare, come nel caso dell’abbraccio con la Bper, interessi altrui (quella banca di Modena, grazie al controllo sul Banco, riuscirà a raddoppiare, in soli due anni, il suo patrimonio netto).

In conclusione, quel che ci spaventa, e ci preoccupa, è il silenzio tombale che su questo argomento s’è aperto e chiuso nell’Isola. Da parte della politica, del sindacato, dei media. Quasi che siano più importanti, oltre che decisivi, per il riscatto futuro dell’economia isolana, i potenziamenti dei consorzi fidi (spesso divenuti solo dei luoghi di clientelismo associativo), anziché la salvaguardia dell’intermediazione del risparmio e del radicamento locale della banche.

Noi, comunque, continuiamo a riporre molta fiducia sia nel Governatore Pigliaru che nel presidente Cabras: non vorremmo però rimanere, insieme a tutti i sardi, amaramente delusi.

Amsicora

 

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