Antonio Gramsci e la “questione anagrafica” secondo Umberto Cardia

Una bibliografia di circa circa ventimila titoli in una quarantina di lingue fa di Antonio Gramsci uno degli autori più letti e studiati di tutti i tempi. Se poi restringiamo la ricerca agli italiani, Gramsci è tra i primi cinque della graduatoria. Chiunque può verificarne la notorietà planetaria con una semplice ricerca su Google: digitando il suo nome e il suo cognome compaiono circa tre milioni e mezzo di documenti. Se si compie la stessa operazione con Benedetto Croce se ne hanno poco più di 500mila e con Enrico Berlinguer circa 400mila. Se poi si va alla sezione “notizie” ne compaiono più di trentamila. Un dato impressionante per un autore scomparso ottant’anni fa. Ottant’anni esatti. Era il 27 aprile del 1937 quando Gramsci, dopo otto di carcere e due di ricovero (ma in libertà vigilata) morì quarantasettenne nella clinica “Quisisana” di Roma.

Come era già accaduto in occasione dei precedenti anniversari, negli ultimi mesi sono apparsi nuovi saggi, sono state ristampate le opere in nuove edizioni critiche. Sono stati realizzati documentari, pièce teatrali e anche graphic novel. Il fenomeno ha assunto una tale regolarità che, per descriverlo, si utilizza una locuzione – “la continua riscoperta di Gramsci” – che è un ossimoro: se una scoperta è “continua” non può essere una “riscoperta”. E così all’analisi del pensiero gramsciano si è aggiunta una nuova branca di studi: l’analisi delle ragioni del fascino che quel pensiero ha suscitato e continua a suscitare nei più disparati (e disperati) luoghi del mondo e anche in ambienti politici lontanissimi.

In una situazione babelica di linguaggi e opzioni politiche, di fallimento di tutte le grandi fedi politiche e religiose, Gramsci forse viene riscoperto incessantemente perché ci insegna a non rinunciare alla lotta, proponendo una rivoluzione che sia un processo e non un atto, che nasca da un lungo lavorio di preparazione culturale e pedagogica“.

La citazione è tratta da uno scritto di Angelo Orsi pubblicato nel 2011 all’interno del saggio di Francesca Chiarotto Operazione Gramsci. Alla conquista degli Italiani nell’Italia del dopoguerra (Bruno Mondadori editore). Risale dunque a sei anni fa, ma suona attualissima, come se fosse stata scritta in questi giorni. Anche per la quasi-coincidenza temporale tra gli ottant’anni dalla morte di Gramsci e le primarie del Partito democratico, cioè dell’organizzazione politica che ha Gramsci non solo tra le figure del suo pantheon ideale, ma anche tra i leader storici del raggruppamento politico che a un certo punto della sua lunga storia, nel novembre del 1989, avviò il processo che avrebbe condotto alla nascita del Pd.

Abbiamo fatto questa premessa per chiarire non solo le ragioni, ma anche il contesto che ci ha suggerito di parlare di questo anniversario gramsciano ricordando una vicenda che, rispetto all’immensità della figura del grande pensatore, è un frammento. Un frammento che, però, consente di individuare uno dei fili che connettono Gramsci al Pd. È una storia che risale al 1988, quando mancava un anno al crollo del muro di Berlino, alla fine dell’impero sovietico e all’inizio della trasformazione del Pci in Partito democratico della Sinistra, prima delle mutazioni che si sarebbero (a quanto pare provvisoriamente) concluse il 14 ottobre del 2007 con le primarie (votarono più di tre milioni e mezzo di cittadini) e l’elezione a segretario di Walter Veltroni.

Il 24 febbraio del 1988 fu pubblicato nella seconda pagina de l’Unità, il quotidiano fondato appunto da Antonio Gramsci, un articolo firmato da Umberto Cardia, uno dei leader storici del Partito comunista italiano in Sardegna. Cardia, che era stato parlamentare e fino a pochi anni prima europarlamentare, allora aveva 67 anni. Era ormai uscito dalla politica attiva, ma continuava a seguirla e a scrivere, cosa che gli veniva benissimo perché di professione era giornalista. In quell’articolo, Cardia tornava su un tema delicatissimo, perfettamente riassunto dal titolo: “Per Gramsci fu fatto tutto?

La domanda non era nuova. Era “nuovo” – e imbarazzante – che a formularla fosse l’Unità proprio in un periodo nel quale il segretario del Partito socialista italiano, Bettino Craxi, attaccava sistematicamente il Pci per i suoi legami con l’Urss e il suo passato. I soggetti evocati dal dubbio espresso da Umberto Cardia erano infatti i vertici del Pcus di Stalin e il santo patrono del Pci, Palmiro Togliatti.

Cardia aveva scritto le stesse cose un paio di mesi prima su Rinascita sarda, il mensile teorico del Pci isolano diretto da Giuseppe Podda, senza suscitare alcuna reazione visibile, ma la pubblicazione di quell’articolo su l’Unità scatenò un putiferio. Tanto che una riunione della direzione del Pci, fissata da tempo per il giorno successivo con un altro ordine del giorno, fu per larga parte occupata dal dibattito attorno all’articolo di Umberto Cardia. Intervenne tra gli altri, indignato, un leader del peso di Giancarlo Pajetta, che giudicò “inaccettabile” il solo dubbio espresso nel titolo. Ma lo “sdegno” – stando alla cronaca di Alberto Stabile su Repubblica – fu corale. E finì col coinvolgere – altro tema destinato a riproporsi ciclicamente – il ruolo stesso de l’Unità. Che già – lo ricordiamo per i lettori più giovani – era vista con un certo sospetto da una parte della dirigenza per quel supplemento satirico – si chiamava Tango – che scherzava con troppa disinvoltura su questioni un po’ imbarazzanti. Stando alla cronaca di Stabile, lo stesso direttore del giornale – Gerardo Chiaromonte – prese le distanze dall’articolo che proprio lui aveva pubblicato. E il suo vice, Fabio Mussi, tenne a chiarire di averle letto “solo di sfuggita”.

Questo dibattito era nelle prime pagine dei quotidiani nazionali quando chi scrive fu incaricato dal direttore de La Nuova Sardegna di andare a incontrare Umberto Cardia per intervistarlo. Ero un giovane giornalista e Cardia, che era un uomo generoso, mi aveva in simpatia. L’avevo già incontrato in altre occasioni. Solo che quella volta avevo un compito complesso. Infatti dovevo fare un articolo che mettesse assieme la polemica nazionale con una questione di cui all’epoca si discuteva intensamente in Sardegna: la possibilità che il Pci isolano diventasse un’organizzazione autonoma, federata al Pci nazionale. Un’idea che nasceva fondamentalmente dall’esigenza di intercettare il vento sardista che aveva portato il Pds’Az di Mario Melis alla guida della Regione, ma che, per trovare legittimazione, inevitabilmente andava a scavare nel pensiero di Gramsci.

Fatto sta che Cardia, mentre era prodigo di riflessioni sul tema generale e sul dibattito nazionale suscitato dal suo articolo, eludeva sistematicamente tutte le domande sull’ipotesi del Pci sardo federato. E quando, preoccupato per il fatto che rischiavo di tornare a casa senza l’articolo che il direttore mi aveva commissionato, mi feci coraggio e gli chiesi perché non voleva rispondere, mi disse questa frase, che poi restò scolpita nel mio notes: “Sono un uomo anziano. Un vecchio. E non c’è niente di peggio di un vecchio che intriga o anche solo dà l’impressione di intrigare”.

In effetti, la questione del Pci federato non era solo un’ipotesi teorica. Il dibattito allora in atto nell’Isola divideva gli uni dagli altri dirigenti di primo piano. Era impossibile parlarne senza che qualunque presa di posizione, qualunque idea, fosse letta come un sostegno a questo anziché a quello. Cardia, da giornalista, da conoscitore dei meccanismi dell’informazione, ne era perfettamente consapevole. E così respinse, anche con una certa ironia, le insistenze goffe di chi scrive. E, forse per consolarlo dalla sua disperazione professionale, gli regalò quella massima. Che ripeté più volte, come un mantra, davanti a tentativi di fargli dire qualcosa sulle vicende del Pci in Sardegna: “Sono un uomo anziano. Un vecchio. E non c’è niente di peggio di un vecchio che intriga o anche solo dà l’impressione di intrigare”.

Ecco, tutto qua. Questo è il nostro ricordo – minuscolo – per gli ottant’anni dalla morte di Antonio Gramsci. Quando il Partito democratico va alle sue Primarie, che potrebbero essere le ultime, e mentre persone oggi più vecchie di Umberto Cardia allora sembrano regolarsi in modo opposto.

Giovanni Maria Bellu

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