Addio a Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza

Ci ha lasciati un combattente pacifico: è morto Pietro Pinna. Lo so, non ve ne fregherà niente e pressoché nulla troverete oggi sui giornali. A Pinna – Piero per tutti – dobbiamo però qualcosa. Primo obiettore di coscienza “politico” italiano, si è sempre distinto per affermare principi e tecniche della nonviolenza in Italia, avendo sempre ben chiaro che non si può battere la guerra senza eliminarne gli eserciti, gli strumenti che la rendono possibile. Di origini sarde, nel 1948 fu chiamato a prestare servizio militare di leva, ma decise di rispondere con un plateale NO.

Probabilmente l’abbiamo dimenticato, ma fino al 1972 l’obiezione di coscienza al servizio militare era considerata, nella migliore delle ipotesi, renitenza alla leva, oppure diserzione, mentre solo dal 2005 è stata eliminata l’opzione del Servizio Civile obbligatorio. Venne processato per disobbedienza (fu difeso da Bruno Segre) e condannato al carcere per 18 mesi. Non fu l’unica volta. Nel 1973, a seguito di una affissione contro la celebrazione delle Forze armate, Piero fu arrestato e condannato per vilipendio; nel 1979 si beccò un’altra condanna per blocco stradale. Fu il più stretto collaboratore di Aldo Capitini e insieme, nel 1961, organizzarono la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi.

Sempre con Capitini fondò nel 1962 il Movimento Nonviolento e nel 1964 la rivista Azione nonviolenta, di cui era direttore fino a ieri. Nel 1976, coi radicali, fu tra gli organizzatori e animatori della prima Marcia antimilitarista internazionale. Partendo dal sacrario militare di Redipuglia e raggiungendo anche Verdun in Francia, la marcia si concluse in Sardegna, alla Maddalena (il prossimo 19 agosto ricorre il quarantennale) con la costruzione di un muro simbolico per bloccare l’accesso militare americano (Paolo Buzzanca, allora segretario del Partito Radicale della Sardegna, fu buttato in mare dai carabinieri, ignari di battezzare in quel modo un futuro consigliere regionale). Su questa, Jean Fabre scriverà: “Già semi-rovinata dalla petrolchimica, luogo di sperimentazioni fatte sulla pelle della gente, sede di carceri speciali, l’isola è una roccaforte della NATO, o meglio delle forze statunitensi (base di sommergibili nucleari alla Maddalena, poligoni di tiro, terra di esercitazioni militari di terra, mare, aria). È chiaro il motivo che ci ha indotto a concludere la prima marcia internazionale in Sardegna”. Se le cose stavano così, non mi sembra che la situazione sia migliorata di molto, ma questa è un’altra storia.

Artefice nel 1982 della Marcia Catania-Comiso contro l’installazione della base missilistica statunitense, Piero fu anche insignito della laurea honoris causa in Scienze per la Pace dalla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa. Partendo da motivazioni non solo religiose, ma politiche e filosofiche, assunse suo malgrado il ruolo di alfiere dell’obiezione di coscienza. Il suo caso spinse il mondo giuridico a rivedere il concetto di difesa della Costituzione: dobbiamo a lui la lunga marcia che portò gli obiettori italiani ad essere riconosciuti dallo Stato. Un riconoscimento istituzionale arrivato troppo tardi, quando il 3 marzo scorso, in occasione dell’incontro con una delegazione di rappresentanti e volontari del Servizio Civile Nazionale, il presidente della Repubblica Mattarella ha detto: “Sono stati gli obiettori di coscienza al servizio militare obbligatorio ad aprire la strada, talvolta con contrasti e incomprensioni, ad ampliare il significato e le modalità di servizio alla Patria”. Ecco, ricordiamolo ancora: se in Italia, oggi, sono sempre più diffuse pratiche di vita nonviolente lo dobbiamo a persone come Piero Pinna, al loro sacrificio e alle solitarie battaglie, al prezzo che hanno pagato per affermare i principi e valori della pace.

Massimo Manca

 

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