Veleni, non solo poligoni militari. Migaleddu: “E la Regione tace”

Più è elevata la produzione più si può inquinare. Questo il contenuto del dl 91 convertito in legge, così denuncia Migaleddu presidente Isde -Medici per l’Ambiente Sardegna. A vantaggio di Eni, Saras e Eurallumina.

“Più è elevata la produzione di un’azienda, meno restrittivi saranno i limiti sullo scarico di inquinanti a mare: si va dall’arsenico al cromo, dal ferro al piombo, fino ai solventi organici e l’alluminio. Questo dice il dl 91 fresco di conversione in legge. Ad avvantaggiarsene sono le solite Eni, Saras e, new entry, l’Eurallumina”, spiega il presidente Isde -Medici per l’Ambiente Sardegna Vincenzo Migaleddu. E attacca: “Partendo da questo quadro, colpisce che la classe dirigente sarda si scandalizzi per l’inquinamento manu militari, ma non batta ciglio sull’aggravio delle condizioni ambientali e sanitarie nelle aree industriali, non si opponga a un sistema produttivo energivoro e non sostenibile né chieda l’immediata bonifica dei siti contaminati dai veleni di fabbrica”. Nonostante un protocollo d’intesa tra Stato e Regione per la bonifica del Sito di interesse nazionale (s.i.n) del Sulcis-Iglesiente-Guspinese giaccia lettera morta da ormai dieci anni.

Insomma, per il presidente dell’associazione Isde – Medici per l’Ambiente Sardegna “il problema ambientale non si riduce ai soli poligoni, mentre per alcuni politici sardi sì. Prova ne è l’accordo di programma tra Ministero dello Sviluppo e Rusal, con la Regione che finanzia una nuova e impattante centrale a carbone per il rilancio dell’Eurallumina, un accordo questo che prevede anche il dissequestro del bacino dei fanghi rossi”. Che con l’approvazione delle nuove norme potrebbe diventare una semplice pratica burocratica.

Il tutto, all’interno del Sito d’interesse nazionale più grande d’Italia, dove cioè esisterebbero vincoli stringenti per la realizzazione di iniziative dalle evidenti ricadute ambientali e sanitarie.

“Eppure, si può lavorare l’alluminio anche senza la realizzazione di nuove centrali elettriche o il dissequestro dei vasconi di Paringianu: il riciclo di un chilogrammo di questo metallo richiede appena 0,7 Kwh di energia, contro i circa 15 Kwh necessari per produrre lo stesso tanto di alluminio da bauxite. Chiaro che a questo punto il vero business è quello dell’energia”, precisa Migaleddu.

L’attacco portato dallo Stato alla Sardegna – continua Migaleddu – è frontale, ma articolato a più livelli. Per spiegare cosa stia accadendo oggi occorre partire almeno dallo scorso febbraio e cioè dalla conversione in legge del decreto Destinazione Italia, contro il quale nessun politico di rango ha mai speso una sola parola”. Con quel provvedimento il governo ha di fatto dispensato i grandi inquinatori degli ultimi decenni dagli obblighi di bonifica, varato gli accordi di programma per la reindustrializzazione delle aree contaminate e scippato la Regione della competenza in materia di geotermia. “Il nuovo decreto Ambiente Protetto deve essere dunque visto come un articolazione operativa del Destinazione Italia: s’incentivano le società che operano nel campo della trivellazione, che spesso vanno a caccia di idrocarburi nonostante si dichiarino interessate al calore del sottosuolo, e si autorizzano maggiori sversamenti a mare per quelle aziende che hanno sottoscritto gli accordi di programma contenuti nel precedente decreto. Ne beneficiano Eurallumina ed Eni, oltre naturalmente alla Saras”, spiega il medico sassarese.

“Il punto – continua – è proprio questo: si privilegia la grande industria e gli operai a discapito di aziende agricole e allevatori, che come avviene a Portoscuso non possono vendere i loro prodotti contaminati da piombo e diossine provenienti dal polo industriale adiacente”.

Che dire? “Non c’è limite al peggio, ma occorre soprattutto notare che la Regione non ha intenzione di affrontare i costi sociali, sanitari ed economici dell’inquinamento industriale. Al contrario, con il suo silenzio avvalla l’operazione che vede lo Stato deporre un sudario sui tanti morti in quelle aree, consentendo alle industrie di Stato di fuggire dalle loro responsabilità. C’è dunque una classe dirigente che non sa dove andare, perché ancora vittima della gabbia ideologica dello sviluppo progressivo, una gabbia questa che impedisce alla società sarda di individuare nuovi progetti di sviluppo che si armonizzino con gli interessi delle popolazioni e che rifiutino interessi legati a gruppi finanziari estranei. Tutto per poche centinaia di posti di lavoro a scadenza, fino, cioè, all’arrivo di una nuova crisi strutturale e di nuove richieste di cassa integrazione”.

Piero Loi

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