Trivelle in Sardegna: oltre 20mila kmq a rischio. Ecco la mappa

Quindici richieste di permessi, tra dormienti, concessi o in attesa della pronuncia degli enti preposti alle autorizzazioni. Su terraferma e a largo delle coste, per una superficie totale di oltre 21.000 kmq tra mare e terra (al netto dei permessi che condividono le stesse aree d’intervento). In pratica, in Sardegna, la superfice potenzialmente interessata dalle trivellazioni è di poco inferiore a quella dell’intera isola.

 

Piattaforme marine in arrivo a largo delle coste occidentali?

A fare la parte del leone è l’area perimetrata dalla società norvegese Tgs Nopec che ha chiesto al Ministero dell’Ambiente di utilizzare le bombe ad aria compressa note come airgun per rilevare la presenza di giacimenti di gas e petrolio sottomarini su 20.000 kmq di fondali sottomarini del mar di Sardegna. Ai norvegesi non sono infatti bastate le prospezioni geofisiche (questo il nome tecnico dell’intervento) effettuate nel 2001, quando bombardarono nel silenzio il mare a largo della costa ovest della Sardegna. Obiettivo della società è vendere i dati alle società dell’oil&gas attrezzate per l’estrazione. Dell’intervento della norvegese Tgs Nopec si è parlato in relazione al trattato che ha modificato i confini marittimi tra Italia e Francia, che ha di recente le trivellazioni off-shore. L’articolo 4 dell’accordo prevede infatti lo sfruttamento congiunto dei giacimenti situati a cavallo dei confini marittimi dei due paesi. Dopo aver battuto il lato francese, la Tgs Nopec oggi vuole effettuare ricerche sul versante italiano, proprio a ridosso dei confini tra i due stati.

Sulla stessa area, la Schlumberger aveva presentato un permesso di ricerca analogo che non è stato accolto dai ministeri romani. E attualmente sul sito del ministero dell’Ambiente, ente preposto alla valutazione dei progetti off-shore non c’è traccia del nuovo intervento che la Schlumberger – stando a indiscrezioni di stampa – avrebbe ripresentato in seguito alla bocciatura.

Il referendum del 17 aprile, che chiede alla cittadinanza di esprimersi sull’abrogazione della legge che consente la proroga delle concessioni di sfruttamento dei giacimenti situati entro le 12 miglia dalle coste non avrà nessun effetto su questi progetti né sulle richieste dei permessi di ricerca sulla terraferma presentati alla Regione Sardegna.

L’on-shore in Sardegna è targato Saras

I permessi di ricerca per idrocarburi sulla terraferma sono tutti targati Saras. C’è il noto permesso Eleonora che si estende su una superficie di 443 kmq nei territori di Oristano, Nurachi, Palmas Arborea, Arborea, Terralba, Marrubbiu, Terralba, Santa Giusta, Siamaggiore, Cabras e Riola Sardo. In questa fase, il comune più interessato è quello di Arborea: qui la Saras vorrebbe realizzare il pozzo esplorativo. Osteggiato da tutti i comuni dell’area (e dalla Provincia di Oristano), oltre che dal comitato No Eleonora, il progetto è stato bocciato dalla Regione per incompatibilità con il Piano paesaggistico regionale. Oggi, dopo i ricorsi della società dei fratelli Moratti al Tar (che non ha accolto le ragioni della società petrolifera), si attende la sentenza del Consiglio di Stato fissata per il 9 giugno. Il comune di Arborea ha già deciso che resisterà in giudizio contro il ricorso della Saras.

La Saras non si ferma, in ogni caso, all’Oristanese. E infatti è detentrice del permesso di ricerca per idrocarburi liquidi e gassosi Igia alle porte di Cagliari. In tutto 121 kmq tra Elmas, Assemini, Decimomannu, Sestu, San Sperate, Monastir, Nuraminis, Serrenti, Uta fino a Serrenti, San Gavino, Sanluri, Sardara, passando per Samassi e Serramanna. In pratica, mezzo Campidano. Sulla stessa area la Saras ha chiesto e ottenuto un permesso per lo sfruttamento di risorse geotermiche. Effettuate le ricerche, la prossima fase, come avvenuto ad Arborea, potrebbe essere la richiesta dell’autorizzazione a realizzare un pozzo esplorativo. Anche in questo caso sarà il Piano paesaggistico a fare da scudo alle intenzioni dei fratelli Moratti?

Geotermia, trivelle (quasi) pronte a entrare in azione

Oltre agli idrocarburi, ci sono appunto le risorse geotermiche, vale a dire le sacche d’acqua calda custodite dal sottosuolo che diverse società vorrebbero sfruttare per la realizzazione di centrali elettriche. Naturalmente, previa trivellazione. Tuttavia, sebbene si parli di acqua calda, questi interventi non mancano di impattare l’ambiente: dalla contaminazione degli acquiferi intercettati dalle trivellealla sismicità indotta – come riconosciuto dalla letteratura scientifica -, passando per le possibili fuoriuscite di gas nocivi dalle viscere della terra e l’utilizzo di sostanze tossiche nella fase di perforazione dei pozzi, sono tanti i rischi connessi allo sfruttamento delle risorse geotermiche.

Sta di fatto che ai permessi di ricerca geotermica è interessata un po’ tutta la Sardegna, dal Campidano all’Anglona, passando per il Medio Campidano, il Montiferru e la Planargia. Oltre al permesso Igia, infatti, troviamo il permesso Siliqua della Geonergy su 297 kmq compresi tra Villacidro, Samassi, Serramanna, Villasor, Vallermosa, Decimoputzu, Decimomannu, Siliqua e Villaspeciosa. La società ha formalizzato la richiesta per ottenere le autorizzazioni alla ricerca nel 2013, ma non risulta nessun permesso accordato. Insomma, quel progetto può essere ritenuto dormiente. Al contrario, tre richieste della Tosco Geo presentate nel 2013 sono state accolte nel 2015 dalla Regione. Si tratta dei permessi Guspini, San Gavino e Sardara: in tutto 13 comuni coinvolti per una superficie complessiva di quasi 250 kmq. Sono, invece, al momento fermi i permessi Villacidro, Ollastra, Pabillonis e Fordongianus che si spingono sino a Ghilarza.

C’è poi il progetto Cuglieri dell’Exergia, che riguarda tutto il Montiferru e parte della Planargia (in tutto 121 Kmq) ritirato a inizio del 2014 dopo la ferma opposizione delle comunità locali, amministrazioni in testa.

Non va meglio in Anglona e Gallura: circa 15 comuni interessati dai permessi richiesti dalla Geonergy per un totale di quasi 600 kmq tra i permessi Martis e Sedini. Al momento, però, quei permessi non risultano accordati.

Tutte queste società hanno in comune l’appartenenza alla neonata Rete geotermica del gioielliere aretino Gianni Gori, di cui fanno parte anche la Sorgenia di Carlo De Benedetti e la Exergy del potente gruppo Maccaferri.

Non poteva mancare il Sulcis

Chiude il mosaico delle trivelle in Sardegna il Sulcis: è del 9 luglio 2015 la richiesta di effettuare perforazioni fino a 1500 metri di profondità presentata dalla Sotacarbo all’assessorato all’Ambiente. Non si tratta, però, di estrarre carbone, ma di “acquisire informazioni sulle caratteristiche delle formazioni geologiche per un eventuale confinamento di anidride carbonica nel sottosuolo”, si legge nel progetto della società partecipata da Regione ed Enea. Per questo sono previste anche iniezioni-prova di C02 nel sottosuolo. Al momento sono stati accordati i permessi per ricerche non invasive.

P.L.

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