SCANDALO ALLA REGIONE. IL DOSSIER. Scene (e fatture) da un matrimonio. La ricostruzione della Procura

«Al matrimonio di Carlo Sanjust c’era mezza Cagliari, voglio dire tante persone conosciute». Paola Giuntelli lo dice quasi subito al pm Marco Cocco, quando il 7 ottobre 2013 viene sentita in Procura come persona informata dei fatti. La Giuntelli è l’amministratrice unica della “Sud company” srl, la società che gestisce l’hotel Flamingo di Pula e alla quale Sanjust ha fatto organizzare il proprio banchetto di nozze: trecento invitati nella passeggiata coperta del Bastione Saint Remy, a Cagliari, il 9 maggio del 2009. Una festa costata 25mila euro. Ma, stando alle accuse, Sanjust ne ha pagati di tasca propria 1.660, mentre i restanti 23.340 sono soldi dei sardi.

Al pm, la Giuntelli consegna fatture e fotocopie di assegni. E perfino una foto delle nozze, perché lei era lì per lavoro, insieme al direttore del Flamingo Marco Concas. Al pubblico ministero quelle carte bastano per dimostrare la colpevolezza di Sanjust. E la stessa convinzione ce l’ha il gip Giampaolo Casula che ha firmato l’ordinanza di carcerazione: «I documenti dimostrano, di per sé autonomamente, la sussistenza del delitto di peculato».

E’ proprio dalla modalità del pagamento che pm e gip credono di poter accertare il reato. Non solo per Sanjust, ma anche per Mario Diana che da capogruppo Pdl gestiva i soldi del partito in Consiglio regionale. Scrive il giudice per le indagini preliminari: «Si rende evidente che i due avevano concordato di creare un’apparenza di regolarità contabile, per poi farsi restituire i soldi in contanti (come ha chiesto e ottenuto Sanjust), al fine di non lasciare tracce».

Il matrimonio con i soldi pubblici è diventato la sintesi e il simbolo dell’inchiesta sui fondi ai gruppi del Consiglio regionale. E, in effetti, ne riassume le linee essenziali: la spregiudicatezza accompagnata all’ingenuità. E all’idea – smentita martedì scorso con gli arresti – della impunità. Val la pena di raccontarla per intero, seguendo la ricostruzione dei giudici.

La storia comincia pochi giorni dopo la festa di matrimonio quando Sanjust consegna alla Giuntelli due assegni personali, chiedendole però di non incassarli subito. Gli assegni, entrambi da 12.500 euro, fanno riferimento a due diversi conti del consigliere regionale (uno Bnl, l’altro Deutsche Bank) e sono gli stessi che Sanjust ha postato su Facebook per dimostrare la propria innocenza all’indomani della perquisizione nella sua casa, il 16 ottobre.

«Attesi fino a metà giugno – racconta la Giuntelli al pm –, quindi misi all’incasso entrambi i titoli versandoli sul conto dell’Hotel Flamingo presso il Banco di Sardegna, nella filiale di Pula. Chiesi poi a Sanjust come dovevo emettere la ricevuta e la fattura relativa a quella prestazione. Egli – spiega ancora l’imprenditrice – mi disse che si saremmo risentiti».

Passa così un altro mese. «Più o meno a metà luglio del 2009 – riferisce ancora la Giuntelli – Sanjust mi fece emettere la fattura a nome del gruppo Pdl. Io indicai la prestazione “banchetto”, o qualcosa di simile, certamente corrispondente a quanto effettivamente accaduto». L’importo era appunto di 25mila euro».

Altri due mesi, ed ecco la nuova richiesta di Sanjust. «Alla fine dell’estate, inizio autunno, mi disse di restituirgli i 25mila euro che l’Hotel Flamingo aveva incassato con i suoi due assegni personali. Mi assicurò che lo stesso importo mi sarebbe stato corrisposto dal Pdl, dopo l’emissione da parte mia di più fatture intestate al Gruppo. Per me era indifferente il soggetto che si faceva carico della prestazione. Insomma, non vidi alcunché di anomalo».

Sanjust consegna alla Giuntelli tre assegni della Banca di Sassari per un valore da 23.340 euro, e non di 25mila. E comunque: quanto il pidiellino dà in chèque, si porta via in contanti. Ma l’onorevole chiede ancora un altro favore, cioè annullare la fattura da 25mila euro ed emetterne quattro diverse, spalmandole tra ottobre e dicembre, «sempre facendo riferimento a un convegno di ottobre», fu la preghiera all’amministratrice.

È proprio incrociando le ricevute di pagamento e gli assegni che la Procura compone un nuovo pezzo del presunto peculato. Quindi: a 23.340 euro si arriva sommando le quattro fatture da 12.500 euro, 2.500, 7.260 e 1.080. Ma quando il 5 febbraio 2013 Diana deve consegnare i documenti che il pm gli ha chiesto, solo la ricevuta da 1.080 euro. Nasconde le altre tre, sempre stando all’accusa. Quindi ecco la perquisizione nella sua casa di Oristano, dove la Polizia giudiziaria trova le fatture mancanti, da 12.500 euro, 7.260 euro e 2.500.

Non solo: Diana non consegna neppure la ricevuta di pagamento annullata, quella da 25mila euro, intestata al Pdl e riferita ai due assegni personali di Sanjust. Tanto che la perquisizione scatta pure nella casa di quest’ultimo, dove però carabinieri e finanzieri non recuperano molte carte. Ma qualche ora più tardi, è lo stesso consigliere regionale a presentarsi spontaneamente in Procura. Sanjust consegna i due assegni da 12.500 euro, quelli postati su Facebook, ma di fatto re-incassati in contanti.

La carcerazione è di martedì. E riferendosi a entrambi gli onorevoli, il gip Casula motiva così la decisione di farli finire in cella: «Tutto ciò dimostra in maniera evidente la volontà di inquinare le prove documentali». Nel caso di Diana, l’inquinamento probatorio sarebbe avvenuto «sottraendo all’Ufficio documenti essenziali per ricostruire i fatti».

Mancavano, infatti, proprio «le attestazioni di spesa maggiormente sospette e di per sé idonee a sollecitare l’attenzione degli inquirenti». Quanto all’atteggiamento di Sanjust, si legge: «La somma di 23.340 euro è una cifra assai prossima ma non esattamente coincidente con l’importo convenuto per il ricevimento, questo al fine di allontanare successivi sospetti».

Alessandra Carta

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