Il rimpasto in Giunta si allontana. Ma i renziani vogliono un assessorato

Il quadro politico in Regione dopo il monito del presidente Pigliaru contro “le logiche spartitorie”, ciò che ha fatto allontanare il rimpasto immediato.

La durezza di Francesco Pigliaru, che da presidente della Regione ha avocato a sé il potere esclusivo di decidere sulle nomine degli assessori, ha funzionato: il rimpasto della Giunta non si farà prima dell’estate, come sembrava nei giorni scorsi quando le forze del centrosinistra stavano dettando l’agenda di governo imponendo una tabella di marcia anche sui tempi di istituzione della Asl unica (Asur). Ma domenica sera è arrivata la nota di Pigliaru che ha detto “basta alle logiche spartitorie dei partiti” ottenendo anche una soluzione di mediazione sull’Asur: partirà dal 1° settembre e non dal 30 come avrebbe voluto la coalizione. Resta il fatto che le rivendicazioni da parte di Pd e alleati sull’Esecutivo non cambiano, sebbene la staffetta degli assessori sia rinviata.

La prima novità che è la quinta casella sollecitata in Giunta dal Pd ha un nome: la vogliono i renziani, una delle componenti della minoranza congressuale. Di quest’area fa parte intanto il consigliere regionale Gavino Manca, un fedelissimo della prima ora che ha un filo diretto col sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti. Manca è a tutti gli effetti il luogotenente sardo del premier. Di questa corrente fa parte anche Chicco Porcu, ex capogruppo di Progetto Sardegna quando Renato Soru vinse le Regionali del 2014. I due furono i principali difensori di Francesca Barracciu ai tempi del drammatico passo indietro chiesto a fine 2013 all’allora candidata governatrice.

Per le stesse ragioni di equilibri interni, nel Pd le altre quattro correnti non sono disposte a cedere la casella acquisita nel 2014. Con una differenza: Gianmario Demuro, diventato assessore alle Riforme e agli Affari generali in quota soriana, è l’unico in bilico. Tutti gli altri non rischiano: la minoranza congressuale del senatore Ignazio Angioni non ha intenzione di togliere Virginia Mura dal Lavoro; idem l’area Cabras con Massimo Deiana ai Trasporti e la componente Fadda rispetto alla delega all’Urbanistica e agli Enti locali data due anni e mezzo fa a Cristiano Erriu.

A fare da contraltare alle rigidità delle posizioni dem, c’è il punto fermo di Pigliaru che nell’Esecutivo ha tre caselle e nemmeno lui è disposto a cederle: la Programmazione con Raffaele Paci, la Sanità con Luigi Arru e l’Ambiente con Donatella Spano. Riguardo a Paci, la ragione dell’intoccabilità è legata al fatto che tra i due la fiducia e la stima sono massime, tanto che Paci è anche il vicepresidente della Giunta. Quanto ad Arru, cambiarlo adesso che si è a un passo dalla Asl unica, equivarrebbe a darsi la zappa sui piedi, visto che Pigliaru ha sempre definito centrale la cancellazione delle otto Asl territoriale. Non solo: subito dopo l’Asur si deve fare la razionalizzazione della rete ospedaliera, sulla quale Arru sta lavorando da un anno e ha girato la Sardegna in lungo e in largo per confrontarsi con le amministrazioni locali, spesso sul piede di guerra. Alla Spano, infine, Pigliaru ha affidato l’istituzione dell’agenzia Forestas, attraverso la quale è gestito un pezzo corposo del bilancio regionale, dal momento che le buste paga del comparto sono quasi seimila.

In questo quadro, oltre alla delega alle Riforme, il cambio degli assessori si ridurrebbe all’Industria (Maria Grazia Piras, ex Sardegna vera), all’Agricoltura (Elisabetta Falchi, RossoMori), alla Pubblica istruzione (Claudia Firino, Sel) e al Turismo (Francesco Morandi, Centro democratico). Si tratta di assessorati certamente importanti e che rappresentano storicamente settori in crisi. Ma limitando i cambi a queste sole deleghe si rischia di avvallare un rimpasto di facciata, in linea con quelle “logiche spartitorie” messe all’indice dallo stesso Pigliaru.

Tanto che Sel, il secondo partito della coalizione, vuole aggirare l’ostacolo proponendo un azzeramento di tutto l’Esecutivo. Ma la soluzione difficilmente verrà condivisa dal resto della coalizione. Non solo: anche Sel, a pari del Pd, rivendica un assessorato in più, alla luce del risultato ottenuto alle Comunali con la vittoria di Massimo Zedda a Cagliari e di Matteo Aledda a Sinnai.  Ma ciò presuppone che a perdere il posto in Giunta siano due partiti a scelta tra Upc-Psi (quel che resta del gruppo Sardegna vera), RossoMori e Centro Democratico.

Del resto non è mai stato in discussione nemmeno il fondatore del Partito dei Sardi, Paolo Maninchedda, titolare dei Lavori pubblici e ugualmente intoccabile per più di una ragione: ha preso in mano la Sassari-Olbia riuscendo a inaugurare i primi ventitré chilometri, sta provando a risanare Abbanoa e col mutuo keynesiano contratto dalla Regione nel 2015 si è accordato con Pigliaru e Paci per avviare una serie di opere sulle quali c’è accordo in maggioranza.

Insomma, da soluzione di comodo per giustificare i magri risultati ottenuti dal centrosinistra nelle Comunali, il rimpasto della Giunta si sta trasformando in approdo scomodo. Gigi Ruggeri, il consigliere regionale della corrente lettiana saldata coi soriani, lo conferma: “Servirebbe quanto meno una riflessione complessiva, cambiare i nomi non basta”. E Pigliaru, l’altro giorno, non l’ha mandata a dire chiudendo la porta a “distribuzioni di potere sganciate da obiettivi di legislatura chiari e condivisi”.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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