Regionali, ritarda il treno della parità

Dovevano essere le Regionali delle donne. A fine settembre si pensava addirittura che a contendersi la poltrona da governatore potessero essere tre signore. Invece…

Dovevano essere le Regionali delle donne. E a fine settembre, quando Francesca Barracciu vinse le primarie del Pd, si pensava addirittura che a contendersi la poltrona da governatore potessero essere tre signore, per un imprevisto effetto rosa a catena, una sorta di “contagio collettivo” tra partiti, molto redditizio elettoralmente parlando. Invece, alla fine, solo Michela Murgia, prima candidata governatrice della storia in quota Sardegna Possibile, è rimasta in corsa. Fuori le altre due: la Barracciu ha dovuto fare un passo indietro; Claudia Lombardo, la presidente dell’Aula che pure aveva il curriculum giusto per diventare la leader del centrodestra, ha deciso di non ripresentarsi alle urne nemmeno come consigliera ‘semplice’.

Per ricostruire la “tara rosa” di queste elezioni, bisogna ripercorrere dall’inizio la legislatura che si sta chiudendo. Per arrivare all’ultimo colpo, il cosiddetto “caso Ogliastra”. Con una circoscrizione sarda dove, per via di una diabolica combinazione di norme, non è nemmeno garantito quel terzo di posti nelle liste che era stato l’unica concessione alla parità di genere della nuova legge elettorale.

La prima data da ricordare è il 10 marzo 2009: Ugo Cappellacci, neopresidente della Regione, presenta la sua Giunta. Le donne sono 4 su 11 assessori: Ketty Corona (Affari generali), Maria Valeria Sanna (Lavoro), Lucia Baire (Pubblica istruzione) e Liliana Lorettu (Trasporti). Non è molto, ma abbastanza: la rappresentanza rosa è al 36,36 per cento.

Il centrodestra, però, non tarda a litigare: a ottobre 2009 arriva il primo rimpasto. Gli assessori salgono a 12 e le quattro donne vengono fatte fuori in blocco. La Barracciu, che allora era consigliera regionale, si mette al lavoro e presenta un ricorso al Tar, insieme a cinque associazioni femminili e diversi esponenti politici del centrosinistra. Il 2 agosto 2011 arriva il verdetto dei giudici amministrativi: senza donne la Giunta è illegittima. Scatta l’annullamento. Il Cappellacci ter ha tre signore: Simona De Francisci (Sanità), Angela Nonnis (Lavori pubblici) e Alessandra Zedda (prima all’Industria poi alla Programmazione), le tre uscenti dell’Esecutivo. Ex pidielline le prime due, dei Riformatori la Nonnis.

Il ricorso della Barracciu si fondava sull’articolo 51 della Costituzione, quello che “a tutti i cittadini, dell’uno e dell’altro sesso” garantisce il diritto di “accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. L’articolo è stato oggetto di revisione costituzionale nel 2003. Questa la frase aggiunta: “A tal fine, la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Si arriva a giugno 2013: la nuova legge elettorale, frutto di un accordo tra Pdl e Pd, anima il dibattito in Consiglio regionale. La posta in gioco è l’inserimento della doppia preferenza di genere, ovvero la possibilità di votare un uomo e una donna. Le signore dell’Aula fanno fronte comune. Ma siccome allo stesso modo si organizza la gran parte degli onorevoli uomini, scatta il blitz. La faccia, più di tutti, ce la mette Mario Diana, allora capogruppo di “Sardegna è già domani”. L’ex pidiellino chiede e ottiene che sull’emendamento relativo alla doppia preferenza si proceda con voto segreto. E, non a caso, l’emendamento non passa.

I collettivi femminili si piazzano fuori dal Consiglio e cominciano la loro mobilitazione. I partiti provano a rimediare con quello che sarà il comma 4 dell’articolo 4. “In ciascuna circoscrizione, a pena di esclusione – è scritto – ciascuno dei due generi non può essere rappresentato in misura superiore a due terzi dei candidati; si arrotonda all’unità superiore se dal calcolo dei due terzi consegue un numero decimale”.

Le donne non sono comunque contente. Ma, soprattutto, nessuno si prende la briga di fare l’operazione matematica per svelare che, dietro quelle due quote di 2/3 e di 1/3, si nasconde un trucco. Infatti: “Arrotondare all’unità superiore se dal calcolo dei due terzi consegue un numero decimale” è una fregatura per le donne, in cinque circoscrizioni elettorali su otto. A cominciare dall’Ogliastra, il caso più clamoroso, perché il comma 4 in questione permette la totale esclusione dalle liste di uno dei due generi.

Ecco i calcoli per Provincia. Nel collegio di Lanusei-Tortolì, i seggi a disposizione sono due. Per cui i 2/3 equivalgono a 1,33 che, arrotondato “all’unità decimale superiore”, dà due. E se diversi partiti hanno candidato due uomini, nessuno ha messo in lista due donne.

A Sassari, i seggi sono 12. Il risultato di 2/3 è 7,9. Ovvero, è consentito candidare fino a 8 uomini, quindi solo 4 donne. In Gallura, circoscrizione elettorale da 5 seggi, i 2/3 di 5 sono 3,33: vuol dire che uno stesso genere può piazzare fino a 4 candidati. Nell’Oristanese e nel Nuorese i seggi sono 6: 2/3 significa 3,9, quindi gli uomini in lista possono arrivare a 4. Nel Sulcis e nel Medio Campidano, che hanno 4 seggi a testa, i 2/3 equivalgono a 2,66. Ovvero, le candidature maschili permesse sono anche 3. Infine Cagliari: i seggi sono 20. I 2/3 sono 13,33, il numero minimo di donne è 6.

Invece: se il calcolo fosse stato su 1/3, sarebbe cambiato tutto in cinque circoscrizioni. In Ogliastra, visti i due seggi, 1/3 dà 0,66: il che avrebbe significato l’obbligo di mettere una donna in lista. Idem in Gallura: se il calcolo si fosse fatto su 1/3 anziché 2/3, la rappresentanza femminile sarebbe salita a 2, invece è a 1. Le donne avrebbe potuto contare su una candidatura in più anche nel Sulcis e nel Medio Campidano: 1/3 equivale a 1,33 che, arrotondato per eccesso, avrebbe dato 2. Lo stesso su Cagliari: 1/3 di 20 è 6,6: le candidature rosa sarebbero salite a 7.

Alessandra Carta

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