Pietrino Soddu: “La Sardegna ha bisogno di una rivoluzione spirituale”

Dalla “rottura della solidarietà di classe ” al “grillismo come epifenomeno”: Pietrino Soddu legge la politica sarda dopo le Comunali e prima del rimpasto.

Un’agenda politica ribaltata nel giro di ventiquattro ore con un pacchetto di nomine – tra rimpasto in Giunta, Sfirs e Arst – che ha portato ad accantonare quella “Asl unica” considerata, solo sino all’altro giorno, la priorità della Giunta. La nuova girandola di poltrone ha di colpo occupato la scena del confronto tra i partiti del centrosinistra, come se non siano stati avvertiti i segnali appena giunti dalle urne delle elezioni amministrative. Segnali – come la conquistata di Carbonia da parte del Movimento 5 stelle – tutt’altro che rassicuranti per il modello che, in Regione, ha nel Partito democratico il suo principale regista. Sardinia Post ha chiesto a Pietro Soddu,  tre volte presidente della Regione e  “padre nobile” della politica sarda, una lettura di questa che appare una nuova rinuncia della classe dirigente isolana a sintonizzarsi con gli umori dei cittadini.

Onorevole Soddu, i partiti hanno accelerato: il rimpasto della Giunta si farà prima della pausa estiva.

Faranno il rimpasto, ma non ci dobbiamo aspettare miracoli: cambierà qualche nome, ma anche i nuovi assessori avranno il piombo nelle ali.

La Rinascita sarda deve attendere ancora?

Il problema non riguarda unicamente la nostra Isola: è il mondo in difficoltà. Per rendersene conto è sufficiente dare un’occhiata alla campagna elettorale degli Stati Uniti, fatta di soli insulti ormai. L’Occidente in generale è travolto dalla crisi della politica. La mia impressione, analizzando anche l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione europea, è che qualcosa si è rotto tra l’élite al potere e il popolo: si è perso l’orizzonte della promozione umana, determinato nella modernità dall’inclusione sociale, dall’emancipazione femminile e dalla rivoluzione giovanile. Oggi i cittadini non sentono più quella fraternité che, insieme alla liberté e all’égalité, ha accompagnato la seconda metà del Novecento. In questa società post moderna, la solidarietà è assente: si vorrebbe vivere senza immigrati, senza rom, senza poveri, senza disgraziati, senza neri e senza disabili.

Il presidente Pigliaru, la Giunta e il Consiglio regionale possono stare tranquilli, allora: non c’è motivo per prendersela con loro.

I bisogni materiali inevasi vanno dati per acquisiti. E per risolverli in questo tempo, oscuro e difficile da interpretare, non bastano certo quei clichè all’apparenza confortevoli offerti dalla politica sarda. Mi riferisco al fatto che siamo un’Isola e quindi diversi dagli altri. O pensiamo alle richieste di qualche soldo in più da Roma per la continuità territoriale. Ci piace pure sentirci dire che abitiamo nella Sardegna dei centenari più centenari del mondo, dove ci sono i nuraghi e i giganti di Mont’e Prama. Tutte consolazioni che non incidono sull’economia.

La nuova maggioranza in Regione si è candidata e ha vinto le elezioni con un programma di governo: qualcosa dovrà pur fare.

C’è qua e là qualche atto di buona amministrazione, ma non un progetto complessivo, una sfida. I partiti sono in crisi perché esercitano quasi solo forza e potere. Fanno prove muscolari. Ma non si rendono conto che si tratta di un modello vecchio e ormai inviso ai cittadini. Manca, in Sardegna come altrove, la genialità della politica, il sapersi inventare nuovi ancoraggi sociali in sostituzione delle certezze passate che non esistono più, ideologie comprese. Il presidente Pigliaru crede molto nella capacità terapeutica della buona amministrazione, ma questa fase prognostica si trasforma in buon governo solo quando viene aggiunta la visione profetica. Cioè la capacità di inventare un nuovo passaggio storico. La profezia è all’origine di tutte le grandi civilizzazioni.

La Asl unica è buon governo?

La Asl unica non è una cattiva idea, ma non rappresenta una risposta allo spopolamento. Stesso discorso sulla Città metropolitana: bisogna ancora capire se Cagliari e i Comuni associati saranno davvero capaci di trainare il resto della Sardegna. Ugualmente non si può pensare che tutto si risolverà puntando sull’agricoltura: del resto, se fino a oggi il settore primario non ha trainato la nostra Isola, perché questo dovrebbe avvenire in futuro? Idem il turismo: si fa continuamente riferimento a un’industria delle vacanze tutta latte e miele, ma nessuno dice come vanno intercettati i flussi.

La politica avrebbe bisogno di filosofia e forse pure di psicoterapia?

Quando parlo di ancoraggi sociali, mi riferisco a categorie di pensiero come appunto la libertà, l’uguaglianza, il rispetto, l’onore, l’amore e l’onestà. Categorie che nella società post moderna, fortemente polarizzata su miti esteriori e materiali, possono sembrano un dettaglio. Invece la mancanza di questo patrimonio immateriale ha effetti ben più gravi rispetto alla ristrettezza dei beni di consumo, alla quale ci si abitua pure. L’assenza di valori, invece, costituisce il nucleo della distruttività perché impedisce a un essere umano di crescere e di farlo in maniera sana. Ecco: la politica non si fa carico di questo sbandamento che resta irrisolto.

Nazionalismo, indipendentismo, sovranismo e autonomismo vanno di moda. Sono anche una via d’uscita?

Sono tutte declinazioni identitarie sono legate proprio alla ricerca di un orizzonte spirituale. Sono tutte rappresentazioni di forma collettiva opposta al decadimento dei valori, quindi all’incertezza e alla sofferenza morale.

Se domani dovesse tornare a guidare la Regione, cosa farebbe?

È proprio questo uno dei nodi: gli umori dei cittadini si colgono solo stando al timone. Perché è unicamente da quell’osservatorio privilegiato che si possono scuotere le coscienze: oggi serve una rivoluzione trascendentale che permetta di recuperare la spiritualità perduta. Finora l’educazione e il sistema valoriale sono stati delegati allo Stato, alle Regioni, alle Province e ai Comuni. Insomma a tutte le strutture pubbliche collettive. Ma non funziona più: al cambiamento bisogna partecipare. E non lo si fa rottamando dieci persone e mettendo altrettante nuove, come pensava Renzi. Che è carismatico, ma non ha dato ancora risposte adeguate in termini di inclusione sociale e promozione delle coscienze. Serve invece canalizzare gli istinti del popolo, la sofferenza, il disagio, l’inquietudine. Perché il mondo di oggi fa paura, ma rispetto a questo sconforto la politica è ferma. Si limita a dominare.

Come spiega che l’elettorato, anche in Sardegna, si sia spostato sul Movimento Cinque Stelle?

L’M5s raccoglie voti perché garantisce un minimo di speranza. Il grillismo, però, è un epifenomeno, non ha un peso strutturale. Non che vada sottovalutato, ma rappresenta l’onda alta, non il flusso profondo sul quale bisognerebbe intervenire. Il Movimento Cinque Stelle, a Carbonia come altrove, non risolverà di certo l’impoverimento culturale che è uno dei mali del nostro tempo e non si cura con Wikipedia. Se pensiamo al ruolo che i cantautori italiani hanno avuto negli anni Sessanta e Settanta e li paragoniamo a quelli attuali, ci rendiamo conto della differenza. Non ci sono nemmeno nuovi intellettuali, filosofi, poeti. La Sardegna si è messa al passo col resto del Paese anche grazie a una fioritura di scrittori e di registi, ma questo non si è tradotto nell’acquisizione di una coscienza collettiva più alta. Ai sardi, diffusamente, manca qualcosa, come fosse una sete irrazionale: sembra che abbiamo tutti voglia di lasciarsi alle spalle il passato di popolo colonizzato, ma poi nessuno indica una strada.

Nell’immediato cosa si deve fare?

Nell’attesa di altri quattro e cinque Papa Francesco, visto che Bergoglio è il solo ad aver capito la portata della crisi mondiale, la politica deve evitare errori irreparabili, anche in Sardegna. Per esempio il voler tornare a su connottu, chiudendosi nelle proprie tradizioni. Al mondo post moderno servirebbero anche un Mandela o un Gandhi. Obama non è stato all’altezza delle aspettative.

Nel frattempo il costo della sanità sarda ha abbondantemente superato i tre miliardi di euro, cioè oltre il 50 per cento del bilancio regionale.

Il problema è che la politica non ha chiari gli obiettivi: nella scarsità delle risorse economiche, non si possono anche finanziare il basket e il calcio. Serve una lista di priorità, ben individuate e sulle quali concentrarsi.

È normale che il Pd sardo sia andato a elezioni comunali senza un segretario?

Quando si ha un mezzo vecchio, come l’attuale struttura del Partito democratico, è meglio che non sia stato d’impiccio. Il Pd si è arrangiato alla bell’e meglio a livello locale e anche questa tornata elettorale è andata. Ma sono in difficoltà pure i sindacati: stanno commettendo l’errore di parlare un linguaggio che non appartiene più a questa società. E credo lo facciano perché stiamo attraversando un’epoca indefinita. Io, nella mia vita, ho ben chiare almeno tre stagioni, sulle quali convergevano la politica e le forze sociali: mi riferisco alla riforma agraria, all’industrializzazione con la contrattazione collettiva e alla terziarizzazione economica nella quale possiamo includere i trasporti low cost. Oggi non vedo un macro obiettivi di riferimento. E non ci sono da quando la modernità è entrata in crisi per l’esaurirsi di quelle forze propulsive che hanno determinato lo sviluppo. Le conseguenze sono state il ripiegamento su stessi e la crescita delle diseguaglianze sociali.

L’identikit del prossimo leader democratico?

Io uscirei dal recinto dei soliti nomi per puntare su una donna: equivale a portare nel partito una nuova componente. E poi il Pd dovrà prestare attenzione ai territori. Oggi il partito ruota intorno alla solo nucleo regionale, le periferie sono abbandonate a se stesse, non hanno più un peso. Andrà smantellato anche il sistema della vassalleria, su cui sono strutturati i partiti. Tutti i partiti che vanno esclusi dalla contrattazione dei posti di sottogoverno, perché questo è il terreno fangoso nel quale poggia la politica.

In Sardegna non sarà il caso di puntare su istruzione e ricerca?

Anche gli insegnanti hanno i loro problemi, meglio non caricarli di troppe cose. È la politica che deve porre rimedio alla crisi perché la post modernità, definita da Bauman società liquida, può essere convertita da disvalore in risorsa solo colmando i vuoti lasciati dalla rottura della solidarietà di classe.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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