Fondi ai gruppi, il sogno del “colpo di spugna”

Una sanatoria politico-istituzionale per seppellire lo tsunami giudiziario che sta travolgendo il Consiglio regionale. È una tentazione, per alcuni una specie di sogno, in una legislatura segnata dall’inchiesta sui fondi ai gruppi: 59 consiglieri indagati, due in cella e perquisizioni ormai quotidiane che s’intrecciano con voci di nuovi arresti.

Fatto sta che nei corridoi del Palazzo di via Roma se ne parla, e neanche tanto sotto voce: si tratterebbe di produrre una sorta di pietra tombale da far piombare sugli stessi presupposti dell’indagine giudiziaria. Cioè sulla possibilità per la magistratura di sindacare su come quel denaro è stato speso.

L’idea non è nata nell’Isola. È dei giorni scorsi  la proposta di Vasco Errani, governatore democratico dell’Emilia Romagna – anche là c’è un’inchiesta sui fondi ai gruppi consiliari – nonché presidente della Conferenza delle Regioni.

Errani ha spedito tre pagine dattiloscritte ad alcuni deputati democratici chiedendo loro di prendere in carico la modifica del Decreto legislativo 174, sui Risparmi nella Pubblica amministrazione: il Dl l’ha voluto il governo Monti un anno fa per fissare, tra le altre cose, un tetto di spesa sulle indennità dei consiglieri e sui contributi ai partiti. Il decreto venne approvato dopo gli scandali nel Lazio e in Lombardia, dove le truppe di Renata Polverini e Roberto Formigoni si erano date alla pazza gioia tra cene, regali e feste, tutto rigorosamente pagato con soldi pubblici. Franco Fiorito, alias Er Batman, è stato il più famoso del plotone.

La maxi-sanatoria sarebbe una soluzione istituzionale che, tuttavia, l’opinione pubblica difficilmente potrebbe digerire. Ma Errani ci sta provando, e sulla scia ecco alcuni onorevoli sardi che vorrebbero fare fronte unico. Nei corridoi, per ora. Perché la riforma – pur sostenuta da buoni argomenti tecnico-giuridici – è fortemente impopolare, come hanno dimostrato le reazioni che sono seguite alla pubblicizzazione dell’idea del governatore emiliano. Se la modifica legislativa andasse in porto, verrebbero condonate tutte le irregolarità commesse fino al 2012 per applicare il decreto 174 solo dal 2013. In questo modo verrebbero fermati pure i controlli della Corte dei Conti.

Di fatto la linea di Errani (anche se in chiave di interpretazione delle norme vigenti) ha qualche attinenza con la strategia difensiva seguita dai legali degli onorevoli sardi:  gli avvocati sostengono che nessuna disciplina legislativa prevede l’obbligo di rendicontare le spese sostenute dai gruppi consiliari. Il pubblico ministero, invece, ha un’idea opposta, forte di due sentenze della Cassazione secondo le quali la rendicontazione va fatta in modo «puntuale e coevo» quando si maneggiano soldi pubblici.

Ma c’è anche un’altra strada istituzionale – anch’essa intrapresa da Errani – per fermare le indagini: sollevare il “conflitto di attribuzione” davanti alla Corte Costituzionale perché i controlli dei giudici contabili sarebbero «lesivi dell’autonomia e delle competenze costituzionali delle Regioni». Per la Sardegna, Regione a statuto speciale, ci sarebbe in aggiunta il fatto che il Consiglio può essere equiparato al Parlamento (ma anche qui la giuristi si dividono). Il che vorrebbe dire applicare le stesse tutele garantiste di Camera e Senato. Cioè, l’obbligo di chiedere l’autorizzazione prima di procedere con le indagini.

Un dibattito non nuovissimo. Che sembra richiamare la posizione di Giacomo Spissu, presidente del Consiglio nella precedente legislatura: quando la Polizia giudiziaria cominciò a sequestrare documenti nel palazzo di via Roma,  Spissu rivendicò (invano, come si è visto poi) l’autonomia della Regione sulle spese degli onorevoli.

Alessandra Carta

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