Fondi Ue dati alla Sardegna. Ma Roma li sposta in Lombardia e nel Nord Italia

Il declassamento della Sardegna da regione ‘in transizione’ a ‘meno sviluppata’ ha fatto riaprire il dibattito sulla gestione dei fondi europei. La questione è complessa, ma per semplificarla bisogna andare dritti “alla forte  centralizzazione delle risorse Ue” registrata in Italia nell’ultimo decennio e unita a una “mancata equità nell’assegnazione dei finanziamenti”.

A portare in superficie i due ordini di problemi è la Fondazione Ifel, l’istituto per la finanza e l’economia locale che fa capo l’Anci, l’associazione italiana dei Comuni. Si tratta di una lettura che, almeno in parte, può spiegare la diminuzione del Pil sardo dal 76 per cento della media Ue al 71, da cui appunto la retrocessione di un gradino nella classifica economica di Bruxelles perché la soglia di categoria del prodotto interno lordo è fissata al 75 per cento.

Quanto all’assegnazione dei fondi Ue “sempre più a regia nazionale”, dall’Ifel rilevano che “il 32,7 per cento della programmazione 2014-2020 è assegnata per via ministeriale, mentre nei due cicli precedenti (2014-2007 e 2000-2006) la quota ascrivibile al Pon (Programma operativo nazionale) si attestava intorno al 27 per cento”. In cifre, rispetto 43,4 miliardi che l’Italia ha a disposizione sino al 2020, Roma ha sottratto al controllo delle Regioni qualcosa come due miliardi di euro.

Di qui una prima sottolineatura: “Tale spostamento gestionale – si legge ancora nel report Ifel pubblicato su Il Sole24 Ore – appare quantomeno antitetico rispetto al principio di sussidiarietà, facendo emergere un apparente indebolimento del potere decisionale delle Regioni, non giustificabile neanche da un punto di vista di performance finanziaria, dal momento che i dati di spesa certificata al 31 dicembre 2015 indicavano sui Pon un avanzamento del 76 per cento contro l’83 dei Por (Programmi operativi regionali)”.

Sul fronte della ripartizione secca delle risorse e che secondo l’Ifel si traduce in perdita di equità, nel report si legge: “L’incremento della dotazione finanziaria per le Regioni, attraverso i Por, è arrivato nella programmazione 2014-2020 a poco più di 21 miliardi, pari a un +4% rispetto al 2007-2013 e a un +6% sul 2000-2006. Tuttavia risulta concentrato nelle Regioni del Nord e del Centro”. Le quali sono classificate come “più sviluppate”, ovvero occupano un gradino sopra quelle “in transizione” a cui apparteneva la Sardegna prima della retrocessione.

Nel dettaglio delle cifre, rispetto a quel 4 per cento di maggiori risorse assegnate sui Por rispetto al 2007-2013, Nord e Centro Italia possono contare nel corso di questa programmazione su circa “il 30 per cento in più rispetto al 2007-2013”. In particolare, “all’interno di tale gruppo spicca il dato della Lombardia – si legge nel report Ifel – con un aumento del 77 per cento, seguito da Emilia Romagna con una variazione del 50 per cento. Al contrario – è scritto ancora – i Por delle tre regioni ‘in transizione’, cioè Sardegna, Abruzzo e Molise, è diminuito di circa il 30 per cento rispetto alle risorse assegnate con la programmazione 2007-2017″.

E siccome la matematica non è un’opinione, il 30 per cento aggiunto al Nord corrisponde esattamente a quanto risulta tolto a Sardegna, Abruzzo e Molise. Scrivono dall’Ifel: “Assodata dunque la perdita di gestione diretta di fondi Ue da parte delle amministrazioni regionali, si assomma una perplessità sulla percezione dell’importanza strategica di intervenire al Sud per colmare i ritardi di sviluppo del Paese. Prima della chiusura dell’accordo di partenariato (lo firma il Governo in carica con la Commissione europea), si era fatto esplicito riferimento a una ‘opzione strategica Sud’, di cui invece si è persa traccia a favore del più comunicativo ‘progettismo’ del masterplan per il Mezzogiorno. Eppure – si legge – i finanziamenti europei destinati ai Por del Sud e delle Isole rispetto al complesso dei programmi regionali pesano per il settennio 2014-202 il 69,5%, pari a sei punti percentuali in meno rispetto al 2007-2013”.

Così la sintesi finale che guarda al complesso dei tre cicli di programmazione, dal 2000 al 2020: “Questi vent’anni di  finanziamenti Ue hanno insegnato poco per quanto riguarda la loro modalità di spesa, ma almeno un principio dovremmo averlo appreso: le risorse del Fondo di coesione (attraverso l’apposito e omonimo fondo) sono addizionali e non sostitutive delle risorse nazionali ordinarie necessarie allo sviluppo. Quando ciò sarà evidente con nettezza, forse avrà anche più senso una diversa governance gestionale delle risorse”.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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